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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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I sentieri di Cimbricus / I giochi perversi delle Candidature

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Giovedì 20 Settembre 2018

 

cortina 2

 

Come finirà la Candidatura ai Giochi 2026 non lo sa nessuno. Ma qualche domanda alla gente andrebbe pur fatta.

 

di Giorgio Cimbrico

È fatto assoluto divieto all’Italia di candidarsi ad alcunché, in spezial modo all’Olimpiade, sia essa estiva o invernale. Il presente documento, redatto in unica copia e spedito al direttore della testata, è frutto di un’iniziativa e di una convinzione, l’una e l’altro personali, che vogliono avere la possibilità di prender forza e sottoposte a un referendum tra i collaboratori e i suiveurs di questo nostro ameno Sito dove manca solo il platano amato di cui canta Serse all’inizio della magnifica opera handeliana omonima. Perché sei così categorico, così draconiano? Domanda il mio doppio, che in questo caso recita la parte del clemente, del tollerante.

Perché, rispondo, comincio a essere vecchio e averne le palle piene dei giochi di potere, delle consorterie, dei circoli esclusivi, delle massonerie, degli affari sporchi, degli appalti occulti, della corruzione, della concussione, ma anche della superficialità, dell’incompetenza, della mancanza di visione.

Ma allora sei stufo dell’Italia? Sì, sono stufo dell’Italia. E posso fornire dati, date (ma non vi annoierò con lo scempio di Italia 90), numeri. Ricordo ad esempio che, prima del gran rifiuto di Mario Monti, sulle pagine del sito della candidatura comparve una previsione di spesa di 24 miliardi per il raddoppio del Grande Raccordo Anulare, del sistema dei binari attorno a Roma e del raddoppio di Fiumicino. La cifra, all’approssimarsi della data per ottenere le garanzie del governo, sparì e chi andò da Monti disse che i Giochi erano a costo zero. Già, c’erano i soldi del CIO che nessuno ha mai il coraggio di scrivere che sono per lo più in servizi e servono per “gestire” i Giochi, non per prepararli, organizzarli. Ma ormai è sempre più difficile scovare chi ama analizzare o, più semplicemente, prender nota delle regole. Che, nel frattempo, sono diventate elastiche e flessibili come capita nel mondo del lavoro.

Ad esempio, una volta era impensabile andare al CIO senza avere le garanzie del proprio governo. Ma ora, chissà, davanti a candidature nuove, intriganti (l’aggettivo mi fa schifo), a certe occasioni che potrebbero non ripetersi più, la rigidità può ammosciarsi. Il CIO è preoccupato dalla “crisi di vocazioni” che specie per i Giochi invernali sta diventando epidemica. L’Olimpiade bianca, come la chiamavano una volta, ha funzionato sino a quando aveva la sua autentica collocazione, tra i monti o nei pressi, e un programma tradizionale, dignitoso. La politica delle grandi città l’ha spogliata, l’ha ridicolizzata, l’ha resa una fiera dell’attrezzatura sportiva, snowboard in primis. Pechino 2026 sarà il trionfo di questa corsa verso il nulla. E l’Italia rincorre questo nulla senza un goccio di passione, pensando a un nuovo Expo, ad altri torracchioni da costruire, a un ennesimo stupro da perpetrare ai danni di una Cortina già sufficientemente violentata negli anni Sessanta, Settanta, etc. Mi è già capitato di scrivere in altri “Sentieri” della fine che ha fatto la maggior parte degli impianti torinesi e piemontesi e non è il caso di ripetermi.

Chi comanda – e non è detto siano quelli di cui conosciamo i volti – blatera di occupazione, assume un tono vicino al ricattatorio quando sottolinea l’enormità di occasioni che non possono esser perdute, parla di “sistema Paese” (reintrodurei la fustigazione o la gogna per chi usa questa formula), promette nuovi percorsi virtuosi per un rilancio dei territori e a quelli ad essi afferenti (parlano così, veramente, …), ma in realtà non hanno un progetto. In testa hanno soltanto una parola, anche quella di otto lettere, profitto. Profitto da spartire nei rivoli giusti, piccoli, medi, grandi.

In queste loro scelte, in queste loro avventure spesso brancaleonesche, mai che una base, anche piccola, anche molto locale, possa dire la sua, esprimersi, votare. In Italia c’è gente che è in galera perché ha tagliato delle recinzioni metalliche dei cantieri della Tav e truffatori, corruttori, malversatori con condanne a raffica che siedono in parlamento.

La gente di Sion di Oslo, di Innsbruck ha detto all’Olimpiade e c’è la possibilità che dicano no, dopo la rinuncia di Sapporo, anche quelli di Calgary. Da noi non è consentito sapere cosa pensino i milanesi, i cortinesi. Solo i potenti o i loro rappresentanti.

Ricordo sempre quel che disse Sebastian Coe mentre Londra tentava di conquistato i Giochi del 2012: “Alla nostra sede, sullo Strand, arrivavano furgoni di posta. Scrivevano bambini, gente comune e un anziano mandò cinque sterline: sono pensionato, di più non posso”. Lo stesso orgoglio del tempo del blitz. Mai avuto un 8 settembre, loro.

 

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