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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Piste&Pedane / Yeman e i suoi fratelli, tra integrazione e rispetto

Lunedì 20 Agosto 2018

 

crippa-padre

 

Una bella storia italiana quella di Roberto Crippa e della sua numerosa famiglia cercata, e trovata, in Etiopia.

di Daniele Perboni

Il sorriso non abbandona mai il viso di Roberto, padre adottivo di Yeman Crippa. E mentre si siede sulla poltrona mormora «Sono un uomo felice, ho avuto tutto. Se Dio mi chiamasse domani potrei andare ...». Ha una lunga e intrigante storia alle spalle quest’uomo che si definisce un «Lambratese doc», cresciuto nel quartiere popolare milanese dell’Ortica, proprio quello cantato da Enzo Jannacci (Faceva il palo nella banda dell’Ortica, ma l’era sguercio el ghe vedeva quasi pù...). Il figlio Yemaneberhan, per tutti solo Yeman (in amaraico significa “Il braccio destro di Dio”), una delle promesse italiane, si è appena messo al collo il bronzo dei 10.000 metri ai Campionati Europei di Berlino. L’intera famiglia lo festeggia e tutti sono arrivati in Italia grazie al grandissimo cuore di Roberto.

Ora vive in Trentino, a Mezzo Lombardo, in un appartamento che condivide con tre amici d’infanzia di cui è diventato il “badante”. Questo fa di mestiere Crippa senior (foto Perboni), dopo aver lasciato una occupazione che lo vedeva capo area del settore pet (mangime per animali domestici). «Volevamo una famiglia numerosa. Figli naturali non ne arrivavano così abbiamo deciso per l’adozione, da uno a quattro, tutti in età scolare (0-14), come prescrive la legge italiana».

E ne avete adottati molti di più.

«Non è stata una scelta, siamo stati messi davanti a una scelta. È diverso. Nel 2002 siamo andati a prendere i primi tre: Yeman, Mulu, Mekdes, rispettivamente di sette, cinque e quattro anni. Con loro sono rinato. All’epoca avevo 35 anni. Quando ci hanno consegnato i documenti abbiamo scoperto che avevano altri tre fratelli più grandi: Kelemu (15 anni), Elisabet (14) e Nekagenet (13) Così, anche su insistenza dei piccoli, abbiamo ripreso la trafila per l’adozione», e nel giro di due anni eccoli anche loro in Trentino.

Ma perché abbandonare Milano per una piccola località, Montagne, sperduta fra i monti?

«Alla mia ex moglie è sempre piaciuto il Trentino e per me andava bene tutto. Così abbiamo venduto l’appartamento di Milano e con l’identica cifra abbiamo acquistato un “castello”. Una villa di trecento metri su tre piani. C’era spazio per tutti».

E siamo a sei figli. Passano gli anni, i contatti con i parenti in Etiopia non si interrompono: «Certamente no. Nel bene e nel male i ragazzi hanno dovuto abbandonare le loro radici, la loro storia. Ad un certo punto veniamo a sapere che la zia è morta, lasciando i tre figli soli. Tutti e sei insistono. Fanno presente che se verranno adottati da genitori di un altro Paese non si rivedrebbero più. Inizio a risparmiare per portare a casa Gadissa (11 anni) e Asnakech (13)». Si riparte con la sequela dei documenti e alla fine eccoli tutti riuniti. Sono in otto, anche se qualcuno accenna a nove adozioni. «Preferisco non parlarne. È una storia dolorosa. È arrivata quando era già maggiorenne, il primo caso di adozione di questo genere in Italia. Poi è ritornata in Etiopia, dove ha perso la vita in un incidente stradale nel 2014».

Non deve essere stato facile comunicare, specialmente nei primi tempi.

«Nessuna parola di italiano, ma i più piccoli in pochi mesi hanno superato l’ostacolo, mentre per gli altri è servito l’intervento del mediatore culturale. Anche loro, comunque, nel giro di dodici, tredici mesi hanno imparato la lingua».

Tornasse indietro rifarebbe le identiche scelte?

«Certamente! Sono stato fortunato, e sono orgoglioso di tutti. Quello che semini raccogli. Quando sento parlare alcuni genitori di problemi con i loro figli stento a crederci. Quella è la vita. I problemi si risolvono. Ora, pur vivendo ognuno per contro proprio, ci sentiamo sempre, ci riuniamo una volta a settimana, chiedono consigli su qualsiasi cosa. Insomma, è il nostro lavoro di genitori».

Non ci dica che non ha mai avuto problemi...

«Pochi. Certo, ho vissuto come se guadagnassi duemila euro al mese. Ho impostato uno stile di vita sobrio. Tutto doveva, e deve, essere guadagnato, niente regalato. Le racconto un episodio. I primi soldi Yeman e Neka se li sono guadagnati vendendo funghi ai turisti. Partivano alle nove di mattina, mentre gli adulti si alzavano alle cinque. Recuperavano in fretta, abituati com’erano a superare i dislivelli, raccoglievano solo porcini e li vendevano a 15 euro al chilo».

Immaginiamo che la spesa fosse abbondante...

«Solo confezioni famiglia al supermercato, almeno sei carrelli. E poi avevo un certo “potere d’acquisto”. Decidevo io cosa si mangiava in casa, specialmente frutta e verdura. Mi ero accordato con un ortolano. Lui vendeva la frutta di prima scelta e quando avanzava, perché un poco ammaccata o troppo matura, la compravo a 50 centesimi al chilo, però non si poteva scegliere. Prendevo quello che c’era, arrivavamo anche a 70, 80 chili di frutta e verdura a settimana. Era una famiglia numerosa, tredici persone: moglie, figli e tre amici con disagi psichici, che accudivo e accudisco tutt’ora. Anche sui vestiti si risparmiava, passandoli dai più grandi ai più piccoli. Come si faceva una volta. E i regali non mancavano».

Come ha vissuto l’avventura sportiva di Yeman?

«C’era anche Neka che qualche anno fa gareggiava, ora si è un po’ perso, spero rientri. Come ho vissuto il tutto? Come “oro colato”. Sono momenti che regalano eccitazioni incredibili. Non ho perso una gara. Giorni pieni di emozioni, al di là della medaglia».

Problemi di integrazione?

«Nessuno, anche se vivevamo in una piccola valle. Ho sempre insegnato loro il rispetto. E sono stati rispettati. Chiaro, i somari ci sono sempre».

Quindi nessun rimpianto per aver abbandonato il loro Paese.

«I ragazzi sono orgogliosi di essere italiani. Sono consapevoli che venendo qui hanno avuto opportunità che nella loro terra sarebbero mancate e perciò non dimenticano i parenti, mandando loro sempre qualcosa. Laggiù uno stipendio medio è di circa 250-300 euro al mese, quindi quando mandi mille euro all’anno ... E se qualche volta tralasciano i loro doveri ci pensa il fratello maggiore a metterli in riga».

Un’ultima domanda: è religioso?

«Lo sono diventato dopo quanto mi è capitato».

 

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