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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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(le oltre 400 testate dimenticate)





Fatti&Misfatti / Tutti (o quasi) sulla stessa barca

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Lunedì 13 Agosto 2018

berlino18-1 2


Dopo gli Europei multipli, c'è chi sogna di portarli a Roma nel '22, un anno che, chissà perchè, evoca un suono sinistro.

di Oscar Eleni

 

Dal porto di Trieste, dopo aver svegliato inavvertitamente Matteo Boniciolli, eccellente allenatore di basket senza fortuna la fortuna che meriterebbe anche per colpa di un carattere putrella come diceva Gamba quando gli dicevano che doveva essere flessibile, sventolando la bandiera creata genialmente, quindi subito bocciata, da Marina Abramovic per la Barcolana di ottobre: Siamo tutti sulla stessa barca. La sventolo volentieri dopo aver scoperto il piccolo razzismo che ci portiamo tutti nel sacco della spesa quando parliamo di passioni sportive. Confessiamo di aver passato giorni incantevoli, pazienza se il più delle volte si doveva togliere l’audio del melenso frinire di una banda spesso incompetente, in questa sperimentale e ben riuscita olimpiade europea.

Ci siamo divertiti persino con il golf sotto l’acqua, almeno fino a quando non ci hanno informato che ai vincitori sarebbero andati 200 mila euro. Buon per loro, ci mancherebbe, ma abbiamo pensato che non è facile reclutare gente dove ci sono soltanto paghette altri ori vinti fra Glasgow e Glasgow. Purtroppo a Berlino l’atletica ci ha dato soltanto l’oro a squadre della maratona maschile che per molti non dovrebbe neppure contare nel medagliere, molti e non tutti invidiosi come possono pensare il Giomi e il governo FIDAL con tecnici peroranti la causa via etere. Sì, certo il ciclismo avrà pagato meglio i suoi del canottaggio, dello stesso nuoto meravigliaio e certo più dei tuffi, ma insomma eravamo davvero quasi tutti sulla stessa barca d’agosto per cantare amore verso quello che non era degno di titoloni rosei tipo CRISTI(AMO). Illusione da deserto delle idee e degli affetti.

Agosto per solitari nelle città dove si abbattono alberi secolari per far posto al cemento fronzuto, purtroppo è capitato davanti alla casa dove sognavamo di vedere pini secolari almeno fino alla fine che non è poi tanto lontana. Non proprio pizza e rutto libero fantozziano, però era un piacere stare a guardare, anche rimpiangendo il passato di un’atletica che era stata portata dalle mense parrocchiali ai grandi alberghi e poi presa a mazzate dagli stessi che pure avevano capito che pur esagerando un po’ ci sarebbe stato interesse per l’atletica leggera e certo lorsignori non avrebbero fatto fuori tante piste come i palazzinari davanti a casa.

Felici di non essere stati neppure informati del Dream Team che vuol costruire un altro basket pur avendo già sbagliato in tante occasioni. Insomma ci andavano bene anche gli spot tremendisti e quelli che coinvolgevano campioni del calcio, ovviamente si conviveva, almeno fino alla domenica fatale, l’ultima.

Nello stadio olimpico di Berlino infuriava la battaglia nella più grande gara di salto con l’asta mai vista. Giovani leoni guidati da “Mondo” Duplantis a Morgunov reso neutrale dalle squalifiche alla Russia come nazione, contro il maestro Lavillenie. Ad un certo punto, incombenze di telegiornale, troncavano il segnale RAI. La promessa era di ritrovarli subito, magari sull’unico canale sportivo che si è tenuto questa organizzazione che smaschera tutti quando c’è da lottizzarla. Clic. Penombra. Torino-Cosenza di coppa Italia. Altro clic e per fortuna Cova e Trezzi erano sul pezzo. Meno male.


Certo Eurosport rompe spesso con pubblicità che non dovrebbero esserci sui programmi passati e futuri della rete, ma questa olimpiade europea l’hanno servita molto bene e quando venivano intervistati i veri campioni, non i bambocci o le bambocce che dovevano ringraziare portinai e amici di famiglia, in italiano stretto si capisce, ci aiutavano a comprendere, il Trezzi abile col tedesco, bravo con l’inglese, degno nipote di un eccellente dirigente del Milan ai tempi in cui avevamo anche un padre che viveva e smaniava come dirigente accompagnatore per i rossoneri del primo scudetto dopoguerra nel 1951.

I dieci minuti per aiutarci a riflettere. Perché mai dannarsi con l’atletica, quell’atletica italiana che come diceva il Re Sole è stata azzoppata prima ancora di partire con la spedizione super allargata per accontentare tutti e avere i voti di tutti: l’impazienza della vittoria garantisce la sconfitta. Così è stato, purtroppo. Dispiace per la Vallortigara, ma è colpa sua. Dispiace per Tortu, ma, a parte la superiorità degli avversari, diciamo che due sprint ravvicinati dopo un lungo periodo senza gare poteva anche costare qualcosa. Tutto o quasi tutto.

Per fortuna della spedizione sulla Sprea avevamo in squadra anche la nuova Italia, quella dei viaggi del Nobel Naipaul che per primo aveva anticipato i drammi della migrazione. Ai nuovi italiani abbiamo chiesto di darci quello che i vecchi quasi non ricordano.

Collare d’oro e abbraccio accademico per Crippa e Chiappinelli, nati in Etiopia adottati da grandi famiglie italiane, al maratoneta Rachik anche se ci terrà sempre in fibrillazione con questa storia del digiuno religioso. Per Palmisano, Tamberi, le maratonete, gli altri due dell’oro a squadre sui 42 chilometri, la Lukuko e Desalu soltanto l’abbraccio, ma sono stati bravi come speravamo.

Premi speciali della giuria alla roveretana Mattuzzi, cresciuta bene nel giardino di casa Giordani, un buon dirigente naturalmente fatto fuori, troppa passione, e alla discobola Osakue arrivata all’europeo passando dalla griglia impestata delle puttanate scritte, pensate, delle vaccate vendute da goliardate un tanto al chilo per i furbetti del quartierone che truccano i certificati e poi si vantano sui social che poi li fanno scoprire.

Spedizione alla porta di Brandeburgo da consegna oltre il muro. Come squadra un sussulto, come risultato quello di aver scoperto che per affrontare il mondo a Doha e a Tokio non avremo più di 30 arruolabili, ma serve qualcosa di più. Magari non il convento con gli allenamenti all’alba dei tempi che furono davvero d’oro, ma qualcosa che si avvicini, anche se non è colpa di nessuno se la famiglia Borlèe vive in Belgio, dove hanno avuto anche altri campioni tipo la Thiam, e la saga degli Ingebrigtsen, è roba dei norvegesi, ma per favore non date l’idea di consolarvi con il sesto posto nella classifica finale a punti che ci fa stare davanti ad Ucraina e Bielorussia, pure lei gratificata dall’oro a squadre in maratona, perché se fosse vera questa graduatoria sarebbe comunque una bocciatura ad oltre trenta punti dalla Spagna.

 

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