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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
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I sentieri di Cimbricus / Ma c'e' qualche spazio per i riders?

Lunedì 18 Giugno 2018


 soweto 2


Un sentiero che porta lontano, fino alla Soweto di cui ormai non si parla più. Che stia arrivando direttamente da noi?


di Giorgio Cimbrico

Luigi Di Maio ha incontrato i riders e non fa altro che parlarne. Per gente come me, di una certa età, è sempre bene precisare chi siano i riders: una volta li chiamavamo fattorini, corrieri. I riders portano pacchi o cibi – tutto ordinato on line perché sai com’è comodo – si spostano in bicicletta, guadagnano poco, hanno diritti pari a zero. Oltre ai riders, ci sono anche i packers, che sono quelli che fanno i pacchi che vengono portati dai riders. Il mondo ora va così. Marx aveva visto lungo. La vita dei riders non è easy e non hanno neppure un ticket to ride, tanto per rispolverare un paio di titoli di quando eravamo mezzo secolo più giovani e non potevamo pensare che il mondo sarebbe diventato tanto ignobile. Tra intolleranza, stragi di stato, misteri mai risolti e guerre locali ci sembrava già una sufficiente merda.

Comunque, Di Maio – che dicono sia il ministro del lavoro o dello sviluppo o di tutte e due le cose assieme - ha incontrato i riders e ne ha parlato anche in aula. Per lui deve essere stata un’esperienza pazzesca, più o meno come quando mi è capitato di andare a Soweto e a un certo punto piangevamo tutti, ma mica singhiozzando. No, le lacrime venivano giù da sole, senza sussulti.

I riders devono avergli fatto la stessa impressione che a me, e a quelli che erano con me, fecero quella distesa di case basse, di baracche, di rifugi in plastica, lamiera e cartone (anche a Soweto esistono fasce sociali), quei cancelli che non erano più chiusi la notte, quelle torri con i riflettori che non saettavano più al calar delle tenebre. Era un mondo che sapevamo esistesse ma lontano, visto alla tv, durante le sommosse degli anni Settanta, soffocate nel sangue dal governo di Pretoria, e trovarcisi dentro, anche se in una dimensione ormai edulcorata, lasciava tracce. E così ricordo Heike Drechsler e Irina Privalova, alte e bionde, e i bambini neri di Soweto che si arrampicavano su di loro e loro se li caricavano addosso e piangevano come piangevamo noi. Con la compostezza di chi si trova davanti alla verità.

Ora, io non so se Di Maio abbia pianto (non credo, ne dubito), ma di certo ha avuto la sua Soweto: ha visto che c’è gente che non va tutte le mattine a farsi lisciare la capigliatura, che non ha a disposizione un guardaroba pieno di grisaglie di vario peso a seconda delle stagioni, che non ha la sua disinvoltura a mettere in fila parole che diventano bolle di sapone. Loro sono gli hard riders che in una traduzione molto libera sarebbero i forzati del pedale.

Domanda: ma se Di Maio avesse incontrato il Volonté/Colombo di Gallarate quasi Svissera, tornitore che perde una mano e vede crollargli attorno un mondo, come capita a certi disperati eroi di Josef Roth, cosa avrebbe detto, cosa avrebbe riferito in aula, cosa avrebbe affidato all’onda inquinata dei social media? La sorpresa, secondo gli stilemi di uno scrittore di non eccelsa vaglia, avrebbe preso il sopravvento.

 

 

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