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Italian Graffiti / Lega Calcio: in piedi, entra la Corte

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Sabato 28 Aprile 2017

football

La riconversione del calcio italiano passa attraverso una complessa gestione dei "diritti televisivi". Decisi dai giudici.

di Gianfranco Colasante

C'è chi ha invocato "Bella ciao, ..." per fotografare il clima di rivolta che sta vivendo il calcio italiano, commissariato sia nella Federazione (Roberto Fabbricini) che, a cascata, nella Lega di Serie A (Giovanni Malagò). Un nuovo capitolo della irresistibile frenesia che periodicamente spinge il CONI a mettere le mani sul pallone. E finire così in prima pagina e, a volte, in cronaca. Ad andare indietro nel tempo, e neppure tanto lontano, si incontrano analoghi provvedimenti che, fatta salva la buona volontà di ciascuno, hanno lasciato più o meno il palazzo come lo avevano trovato. Come capitò a Franco Carraro nel biennio 1986-87, a Raffaele Pagnozzi nel 1996, a Giovanni Petrucci nel 2000/2001, al giurista Guido Rossi nel 2006 e ancora per il 2006-2007 a Luca Pancalli. Tutti incapaci?

Nossignore: semplicemente perchè è umanamente impossibile proporre, o imporre, nuovi modelli per il calcio. Stante le regole attuali del gioco e senza voler cambiare tutto. Come puntualmente confermerà questo nuovo doppio commissariamento. L'idea era nata all'indomani della eliminazione dai Mondiali russi che avranno inizio il 14 giugno. Dietro Malagò, che s'era proposto malgrado in tanti lo sconsigliassero sognando di cavalcare l'indignazione (?) popolare, una certa campagna di stampa (Dio ne scampi) aveva prodotto le dimissioni del CT Gian Piero Ventura e poi di Carlo Tavecchio. Il resto lo ricorderete. Nella prima fase la scena l'aveva occupata il vice-commissario Alessandro Costacurta che, saltando da una televisione all'altra prima che lo fermassero, aveva ridotto il problema alla nomina di un nuovo CT. Sbagliato.

La cura dei mali antichi e profondi del calcio non può certo limitarsi al CT della Nazionale (scesa nel frattempo al 20° posto nel ranking FIFA, mai così in basso nella nostra storia). Tanto più che se pure non saremo a Mosca, non dobbiamo dimenticare che nelle ultime due edizioni siamo stati eliminati nella prima fase: dalla Nuova Zelanda nel 2010 e dal Costa Rica nel 2014. Per fare ancora peggio con la Svezia nel 2018. Non proprio tutte corazzate e, soprattutto, con tre allenatori diversi. Ne arrivi o meno ora un quarto, poco cambierà nell'immediato.

E se ora Fabbricini non se la passa bene, visto che la sua sola presenza in Via Allegri è stata sufficiente per ricompattare le diverse anime della Federazione - prima del suo arrivo ferocemente contrapposte, ma ora pronte a battagliare sotto la stessa bandiera -, ancora peggio sta andando al buon Malagò che da salvatore dei luminosi destini calcistici, si trova schiacciato sotto il peso dei mancati "diritti televisivi", la cornucopia che dovrebbe mandare avanti tutto il sistema. Diciamo dovrebbe, perchè ora s'è tutto fermato, congelato.

Come è noto, questi diritti se li è aggiudicati Mediapro del patron Jaume Roures per un miliardo e trecento milioni di euro (più o meno la stessa cifra che annualmente muovono in Italia le deprecate scommesse calcistiche ...). Ma l'azienda spagnola/cinese alla scadenza prevista di giovedì scorso si è rifiutata di versare il dovuto. Motivo? L'attesa per le decisioni che il tribunale di Milano prenderà su un ricorso presentato da Sky (la pay-tv della famiglia australiana Murdoch sulla quale incombe una offerta di acquisto di azioni per 25 miliardi di euro da parte di Comcast, il gruppo americano che controlla la potente NBC).

Considerati questi inattesi (?) e complessi scenari, non è certo Malagò imputabile di avere commesso errori. Semmai, da funzionario pubblico (ipse dixit) non avrebbe dovuto proprio avventurarsi nel ginepraio di Via Rosellini. Come saggiamente già aveva fatto il 12 aprile del 2017 quando s'era tirato fuori al termine di un confronto con Tavecchio e il ministro Luca Lotti: "Io commissario? Assolutamente no, la questione è responsabilità diretta della presidenza federale", aveva detto. Si vede che ci ha ripensato o che riteneva ci fossero condizioni diverse. Così a quell'epoca il commissario divenne ... Tavecchio con due vice, Michele Uva (ex-CONI) e Paolo Nicoletti (già in FIGC nel 2006, ai tempi di calciopoli). Nomi che, guarda caso, girano ancora oggi tra Federazione e Lega.

Un commissariamento, se vogliamo, che anche per la Lega di A non era una novità: era capitato altre volte. A partire dal lontano 1958 quando la patata toccò al chiacchierato Giuseppe Pasquale, e ancora nel 1964 e 1966 con Artemio Franchi, nel 1978 col sempiterno Carraro, e poi nel 2009 con Giancarlo Abete. E, dopo Tavecchio, ora il cerino è passato a Malagò che l'ha tanto voluto. Il cui unico successo - almeno per ora - resta l'aver suggerito in uno con Urbano Cairo - l'ascoltato padrone del Torino, della RCS e di Tv7 - il nome del banchiere Gaetano Micchichè quale nuovo presidente di Lega. Anche se la categoria dei banchieri al momento non gode proprio di grande popolarità. In attesa sempre che il processo si completi con un AD, la cui nomina è tornata in alto mare causa veti e controveti. Secondo le nostre buone abitudini. 

Come se ne uscirà, specie se - come appare probabile - la decisione dei giudici milanesi e gli immancabili ricorsi richiederanno tempi lunghi? Le più preoccupate sono le società che rischiano di non poter contare sulle uniche entrate certe, quelle provenienti dalle televisioni. Tanto più che la Lega, secondo quanto ha sentenziato in questi giorni lo stesso tribunale di Milano chiudendo un procedimento contro i precedenti detentori dei "diritti" (Infront), è di fatto un soggetto privato costituito da soggetti privati quali sono e restano i club. Tre dei quali addirittura quotati in borsa. Quesiti che lasciamo volentieri ai giuristi e agli economisti.

Intanto i giorni passano e i problemi restano tutti sul tavolo, pardon sul campo. Semmai si aggravano. Dalle esposizioni debitorie che sfiorano i tre miliardi agli stadi al limite della praticabilità, dal calo costante degli spettatori (con una media di poco superiore a ventimila presenze-partita, lontanissima dai più "produttivi" in Europa) alla violenza diffusa, dai compensi e i costi folli dei calciatori allo strapotere dei procuratori che tutto decidono.

La Nazionale, con i giocatori italiani ormai ridotti a specie protetta, resta solo la punta un po' sbrindellata di una realtà che avrebbe bisogno di un cambiamento vero, traumatico, chirurgico. Che passi, ci permettiamo di ricordare, da una riscrittura chiara delle norme sul professionismo sportivo, ferme da quarant'anni. Se al livello maggiore il calcio è uno spettacolo, lo si tratti come tale. Sulla falsariga si quanto da tempo avviene nei maggiori paesi. Una strada in salita che nessuno vuole realmente percorrere, ad iniziare dal CONI. All'insegna gattopardesca del "tutto cambi perchè tutto resti come prima".

Ad ogni modo, appuntamento al prossimo 19 agosto, data d'inizio del nuovo campionato: al momento la sola certezza.




 

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