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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / Le stagioni di un eroe del nostro tempo

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Giovedì 1° Marzo 2018

MONTEZEMOLO

Dalla Ferrari a Italia 90, fino a Roma 2024, passando per la Confindustria, l'Alitalia e Italo: la vita ad alta velocità di Luca Cordero di Montezemolo.

di Giorgio Cimbrico

Quell’Italo color amaranto partito con l’inezia di tre ore di ritardo in quel lunedì di un giorno da cani e fermo per guasto (“può capitare”, ha detto il capoufficio stampa della Nuovo Trasporto Passeggeri) nella campagna laziale, con Orte lontana come una Timbuctù, come una Shangri-la, arrivato a Milano Rogoredo nella notte fredda, in fondo a un viaggio che ai vecchi o vecchissimi ha ricordato il lento trascinarsi delle tradotte che portavano l’Armir in Russia, fa guizzare sciabolate di luce su uno dei più grandi protagonisti  dello sport italiano (e non solo, naturalmente) di questi ultimi quarant’anni: Luca Cordero di Montezemolo.

Storici attenti hanno notato che Arthur Wellesley provava un certo piacere nell’accumulare titoli e cariche, sino a vantare una collezione con pochi pari: quel che oggi è noto come il Duca di Wellington, era anche Principe di Waterloo, Duca della Vittoria, conte di Vimeiro, marchese di Torres Vedras, duca Douro di Talavera, duca di Ciudad Rodrigo, Conestabile del Somerset, Rettore dell’Università di Oxford, Primo Ministro. Non è il caso di elencare gli ordini cavallereschi, britannici e stranieri, a cui apparteneva.

Al confronto, questa accumulazione (che prevedeva anche laute prebende) si riduce a una modesta raccolta se confrontata con quanto LCM ha saputo conquistare e riunire nelle sue mani in decenni di scalate.

Rimanendo nello sport, campo d’azione e d’interesse di questa nostra testata, si può partire con gli esordi nei rally, vissuti da diretto protagonista su 500 e 125; sfociare in una dimensione di motori assai più rombanti e ambiziosi, e in anni trionfanti, alla Ferrari, prima al fianco del Drake, poi da uomo solo al comando; scivolare sull’acqua con l’avventura di Azzurra che fece scoprire alla massa italica l’esistenza di una nobilissima anticaglia vittoriana come la Coppa America; trovarlo al timone, da direttore generale, di Italia 90, l’avventura simboleggiata dallo scheletrino tricolore che non finì come era stato auspicato, vale a dire con il quarto titolo mondiale, ma che in compenso mutò profondamente l’aspetto degli stadi italiani sia con ristrutturazioni radicali (vedi l’Olimpico romano) sia con edificazioni ex novo: lo stadio di Bari ne è simbolo e sintesi. Peccato che in Italia non si giochi il SuperBowl: quell’astronave sarebbe stata perfetta.

Confindustriale e alitalico, unicreditizio e bianconero (ma con una vicepresidenza ad honorem del Bologna, squadra della sua città natia), maseratiano e paladino dell’alta velocità di stampo privato, LCM ha finito per raggiungere un altro vertice, quello del comitato promotore per Roma 2024, prima che i sogni di un ritorno dei Giochi sui colli fatali venissero bruciati dai Raggi di Virginia che, malgrado l’aspetto da cerbiatta, si è dimostrata una specie di implacabile e ostinata tigre ircana.

Meno di un mese fa, Italo è stato venduto per due miliardi di euro agli americani di Global Infrastructures Partners. Era nato nel 2006 – da zero a Italo, lo slogan – ed era operativo dal 2012, accumulando 500 milioni di debiti.

Se Cecil Rhodes fondò nell’Africa australe un paese che portava il suo nome, Montezemolo meriterebbe un onore analogo. Come lui, pochi.

 

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