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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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I sentieri di Cimbricus / Roger alla sinfonia n. 20

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Lunedì 29 Gennaio 2018

federer-2018 2

di Giorgio Cimbrico

A furia di praticare voyeurismo sportivo (guardonismo?), molte cose e molti personaggi hanno finito per diventare noiosi, stucchevoli. Roger Federer, no. È come se venissero a noia Mozart e Piero della Francesca e non è possibile. Mozart era galante, drammatico, solenne, divertente, superficiale, profondissimo, giocava con le note e con quegli intervalli, i toni, i mezzi toni che stanno tra l’una e l’altra e che noi, ignoranti e perdutamente innanorati melomani, possiamo soltanto avvertire, non cogliere a pieno nello scintillio dell’invenzione. Con il suo gesto liquido, con quel gioco di rimbalzi, di anticipi, di naturali eleganze, di divini intuiti, Federer è lo stesso: sa scrivere un divertimento (quello è stato il primo set della finale con Marin Cilic), ma sa comporre un perfetto tema sinfonico quando i tempi si dilatano e a un allegro mosso può seguire un adagio, un grave, prima dell’invenzione di un vivace ben sostenuto, del finale. La differenza è soltanto e miseramente pecuniaria: Federer è ricchissimo (ultima arrivata nella scuderia degli sponsor, la Barilla che l’ha trasformato in cuoco), Mozart navigava nei debiti.

Quel che smuove per Federer, più che una meritata stima è un affetto vissuto da lontano, derivato da una dimensione in cui l’eternità si avvince alla calligrafia: ha attraversato generazioni, ha assistito alle rese e al ritiro di molti avversari, ha constatato che chi ha saputo allungargli un durissimo filo da torcere e da rodere (Rafa Nadal) ha muscoli che iniziano a smagliarsi e che un altro a lungo nei fabulous three, Andy Murray, è entrato in un lungo periodo in bacino di carenaggio. Il bombardiere di Maiorca ha cinque anni di meno; lo scozzese, sei.

Federer ha vinto 20 tornei dello Slam e ne ha collezionati tre quando tutti lo davano sul viale del tramonto. In queste occasioni (Melbourne, Wimbledon, ancora Melbourne) ha pianto. In tanti anni ho visto piangere un solo giocatore di calcio: Gigi Buffon, dopo il SanSirazo, la nostrana Gran Disgrazia che i padroni del vapore hanno già dimenticato: come avvoltoi e marabù stanno beccando quel che resta del calcio italiano.

Non so e non credo che Roger, a cui invidio quelle scarpe con la stazione di Flinders Street stampata sopra i talloni, riuscirà a fare il Grande Slam tutto di seguito, come riuscì nel ’62 e nel ’69 a Rod Laver, da lui salutato con il soprannome che nessuno potrà cancellare: Rocket. Non credo, perché il tennis di Rocket il Rosso era una magnifica, disinvolta, lieve scampagnata e perché, almeno su una delle superfici, la terra rossa, il Mozart di Basilea ha saputo al massimo offrire operine come Bastiano e Bastiana o La Finta Semplice. Don Giovanni e il Flauto Magico sono stati riservati all’Australia, soprattutto alla Royal Opera House di Wimbledon, a Flushing Meadows.

Nessuno è perfetto, diceva il milionario quando Jack Lemmon gli rivelava di essere una donna, ma a Roger il tennis piace sempre e ancora molto caldo. Per quota 100, gli mancano quattro tornei. Quando ci arriva giuro che mi faccio insegnare come si fa un twitter e glielo mando. In quale lingua non so ancora: Roger le parla e le capisce quasi tutte.

 

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