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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Saro' greve / Nuove e vecchie storie alla coreana

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Lunedì 22 Gennaio 2018

cio-korea 2

di Vanni Lòriga

Alle ore 14.00 di sabato 20 gennaio l’ANSA ha “battuto” la notizia che alla cerimonia di apertura della XXIII edizione dei Giochi Olimpici invernali le delegazioni delle due Coree (Nord e Sud) sfileranno insieme (nella foto, l'accordo tripartito sottoscritto a Losanna). Ce lo aspettavamo da tempo e ne eravamo sicuri da sempre. Partiamo con una doverosa premessa. Parlare di Corea e dei suoi rapporti con lo sport diventa molto impegnativo. A titolo personale si deve riandare con la memoria agli anni Quaranta quando rividi per l’ennesima volta il film “Olympia” di Leni Riefenstahl, come dire Eleonora “solco di acciaio”. Ero da sempre affascinato dalle riprese della gara di maratona ai Giochi di Berlino.

La maratona coreana di Berlino

Si trattava di un gioco di ombre proiettate sull’asfalto e su tutte si stagliava quella di Kitei Son. Tale nome apparve sul tabellone luminoso affiancato alla sigla del Giappone il cui inno nazionale celebrava la premiazione di due atleti saliti sul podio. Loro erano a testa china e gli unici a non gioire. Solo in seguito si venne a sapere che in realtà erano coreani. Il bronzo andava a Shoryu Nan che in realtà si chiamava Nam Song Yong e l’oro a Kitei Son, in realtà Son Gi Jeong anche se altre fonti lo indicano come Sohn Kee-Chung. Possiamo chiarire che il vero nome è quest’ultimo, certificato dallo stesso campione in un autografo che conservo gelosamente.

Insisto nell’affermare che trattando di Korea (come ci scrisse l’olimpionico) è facile cadere in confusione. Lo stesso Sohn fu tedoforo eccelso ai Giochi Olimpici di Seul, rappresentando finalmente la Corea del Sud anche se la sua città di nascita si trova nell’attuale Repubblica Popolare

È noto che dal 1953 le due Coree sono separate da una zona demilitarizzata detta Z.D.M lunga 248 chilometri e larga 4 che si trova all’altezza del 38.simo parallelo nord.

Una quercia non produce pesche

Citata le cerimonia di apertura dei Giochi 1988 non si può dimenticare che l’inaugurazione dello Jamsil Olympic Stadium avvenne il 29 settembre 1984. Fra l’altro rimasi colpito dalla vivacità esplosiva del vincitore dei 100 metri. Il suo nome era Ben Johnson e si trattava di un canadese di origini giamaicane che peraltro non era ovviamente del tutto ignoto.

Infatti quasi due mesi prima aveva vinto il bronzo ai Giochi di Los Angeles; l’anno precedente si era classificato terzo alle Universiadi di Edmonton (non sapevo che fosse dedito a studi universitari, … e non ero il solo ad ignorarlo) e nel 1982 era stato superato a Venezia da Pierfrancesco Pavoni

Quando ne parlai con Carlo Vittori, il professore con la sua parlata ascolana ironicamente sentenziò; “Diceva nonna che dalla quercia nun nasce ‘nu persicu ...”.

L'imbroglione cade nella sua trappola

Aveva ragione. Esattamente quattro anni dopo, su quella stessa pista, Ben tagliò per primo il traguardo con il primato del mondo (9”79) ma cadde nella trappola dell’antidoping. Venne allontanato e lo scandalo fu enorme. Lui sapeva di non essere in regola ed infatti nei quarti di finale desistette. Terminò terzo in 10”17 crono che però lo promosse al turno successivo per ripescaggio.

C’è ancora una notte prima di semifinale e finale e probabilmente pensò di avere il tempo per smaltire eventuali tracce di doping.

Sbagliò i calcoli. La vittoria andò quindi a Carl Lewis (9”92) e l’argento a Lindford Christie che a sua volta risultò positivo dopo la gara dei 200 metri. Controanalisi che durò tutta una notte e finalmente all’alba Alexandre De Merode, responsabile della Commissione medica del CIO, annunciò che si trattava di un errore, asserendo che il ragazzo aveva solo assunto del gingseng, In quella occasione non fui molto diplomatico e lo apostrofai con un ineducato: “Ah Principe, ma che ce stai a dì?!”

Appare chiaro e lampante che ormai si viveva in un mondo di sospetto continuo. Molti dubbi suscitarono anche le imprese di Florence Griffith che si aggiudicò la medaglia d’oro nei 100, nei 200 con record mondiale e nella staffetta 4x100. La gara conclusiva dei Giochi fu la 4x400 femminile, determinante per stabilire chi, nel medagliere avulso della sola atletica prevalesse tra USA, URSS e DDR. Segui quelle corse finali in tribuna d’onore (ai tempi di Primo Nebiolo il lavoro dei giornalisti veniva facilitato …) a fianco dello statunitense Ollan Cassell, campione olimpico a Tokyo 1964 proprio nella staffetta del miglio e autorevole referente della AAU.

Florence, con un malizioso sorriso, dette la netta impressione di cedere il primo posto alla Bryzgina e la vittoria all’ Unione Sovietica. Tempo dopo lessi in un servizio di un collega svizzero che alla Griffith era stata garantita l’immunità a patto che non vincesse quella gara, che doveva essere anche l’ultima della sua vita. Non so se fosse vero. ma il fatto certo è che lei non scese più in pista, dedicandosi a maratone locali prima di morire in giovane età.

Insomma: “Oportet ut scandala NON eveniant …”, è quanto allora mi venne da pensare.

Ho altre cose in serbo: considerato che il mese di febbraio verrà praticamente trascorso in Corea non mancherà l’occasione per raccontare fatti e misfatti dello sport legato a quella penisola.

 

 

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