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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
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I sentieri di Cimbricus / Ancora possibile restare autentici?

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Lunedì 8 Gennaio 2018

slt-1968

di Giorgio Cimbrico

Persino i corifei del calcio sono stati costretti a registrare e a mandare in onda lo scambio di vetriolesche battute tra Antonio Conte e José Mourinho, un repertorio in cui la demenza senile è andata di pari passo ad accuse legate all’opera al nero delle scommesse. Mi son detto: ma allora non è vero che è tutto plastificato nel contenitore di parole vuote, di “devo tutto alla squadra”, “ci attende una partita difficile”, “dell’arbitro non parlo”, “mai dire mai”. C’è ancora spazio per l’urlo e il furore, per la rabbia, per la condizione umana, per la possibilità di essere autentici, magari un po’ incazzati senza dissimulare, senza nascondersi dietro le dita o a un velo appena dipinto, avrebbe detto quel vecchio campione del viaggio che si chiamava Somerset Maugham.

La querelle Conte-Mourinho è una lama di luce, è uno squarcio in un mondo che ha eletto l’ipocrisia a solido postulato, la censura di parole e immagini a strumento consueto. Il mondo che ci ha circondato dentro un Alamo senza scampo, specie quello delle corporazioni televisive, riporta all’Italietta della Democrazia Cristiana e della parrocchia che esibiva il cartello con i giudizi sui film in programmazione, tutto a cura del prevosto: adulti, adulti con riserva, proibito. Brigitte Bardot era Circe e Calipso.

Un giocatore manda a quel paese i tifosi che lo fischiano? Meglio non inquadrarlo. Un altro (Higuain) risponde alle ondate di buuh con ampi gesti che significano continuate pure? Ma non lo ha mica fatto per polemica, dirà l’anchorman di turno. Attenuare, distribuire metadone.

Il vantaggio di esser arrivati a due terzi di secolo di età è che alle spalle uno, se non si è fatto fottere, finisce per avere un patrimonio di ricordi, di libertà, di eccessi. Un po’ di tempo fa mi domandavo: se oggi qualcuno fosse in grado di fare un film come Easy Rider, come vorrebbe giudicato? E oggi, uno come George Best, glorificato come personaggio storico, cosa rischierebbe se finisse nella corrida idiota dei social media? Noi lo adoravamo, come adoravamo Peter Fonda, Dennis Hopper e quella faccia da schiaffi che non avevamo mai visto: Jack Nicholson.

Anni memorabili: finivano i Sessanta, il Manchester United vinceva la Coppa dei Campioni con una colonna sonora che per noi era più Stones che Beatles, i giocatori italiani, che non erano dei privilegiati come quelli di oggi, decidevano di dar vita a un sindacato esponendosi ad attacchi che venivano da ogni lato, giornali compresi; Sacramento diventava il teatro della saga e della sagra della velocità e la scena, come in un dramma shakesperiano, stava per spostarsi a South Lake Tahoe e da lì a Città del Messico, tra quinte di libertà e paura, di orrore e meraviglia, scandito e interpretato da una generazione magnifica e perduta che non aveva timore di dire quel che pensava, di mostrarlo al mondo perché era l’ora di finirla con lo sport come un mondo a parte.

E io e noi, come disse Alì, avevamo voglia di capire sino in fondo e quegli anni, il ’68 e il ’69 dei nostri primi orrori (piazza Fontana: “avanti per la verità” ha detto Mattarella nel 48° anniversario, interpretando alla perfezione un personaggio manzoniano, quello che dice adelante pedro con juicio) furono maledettamente, crudelmente generosi. Tutto era crudo, tutto era vero, tutto era un dibattito scandito da tamburi nella notte, anche quella della Repubblica.

E così potete capire perché questo nostro tempo, falso come un peso contraffatto da un droghiere disonesto, da un macellaio senza scrupoli, da un informatico che spia ogni nostra mossa, mi sia diventato, più che ostile, estraneo. In questo mondo chi ha preso il comando e non ha più un volto come il dio del 36° piano, impone il bagnomaria dei sentimenti, il tiepidume delle reazioni. Prima ho parlato di Best e adesso mi viene in mente Alì. Non sta bene usare il verbo uccidere parlando di un avversario, direbbero. E poi, chissà perché, mi viene in mente Robert Capa che passò la vita a cercare l’immagine vera, sino a saltare in aria su una mina, in una risaia, e oggi qualche manichino ossibuchivoro – per la definizione ringrazio Carlo Emilio Gadda – direbbe che si tratta di immagini forti e non è il caso di mostrarle.

È usando questa strategia del ragno che hanno imbozzolato le menti, ottenebrato le coscienze, permesso al vuoto e al silenzio di diventare misura di tutte le cose. Reagire è ancora possibile. Forse.

Nella foto: la pista ai 1900 metri di South Lake Tahoe, in California, dove gli americani prepararono i Giochi del Messico.
 

 

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