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I sentieri di Cimbricus / La dolce scozzese dal cuore impavido

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Martedì 21 Novembre 2017

muir 2

di Giorgio Cimbrico

L’Associazione britannica degli scrittori di atletica ha votato atleta dell’anno Laura Muir che ai Mondiali di Londra non ha vinto - quarta nei 1500, sesta nei 5000 - che sta lavorando sodo, settanta ore alla settimana, in un ospedale equino di Glasgow, tappa indispensabile per conquistare la laurea in veterinaria, che ha confessato di aver cucinato e messo in freezer parecchio cibo per non perdere troppo in quotidiane preparazioni culinarie, che malgrado tutto questo impegno ha raccontato di non aver perso un allenamento, di aver già corso dei cross e di puntare sia ai Mondiali indoor di Birmingham che agli Europei di Berlino.

Laura ha un faccino dolce, che tira al malinconico, ma in pista sa snudare lo spadone di Braveheart e ripropone uno stile che l’uso delle lepri sembrava aver cancellato: la corsa di testa. Senza paura, da cuore impavido: non è un caso venga da Milnathorn, non lontano da Stirling, dove William Wallace diede filo da torcere alle truppe i Edoardo I nei pressi di un ponte strategico, e da Bannockburn, uno dei luoghi sacri della scozzesità.

In una nazione dove la caccia ha sempre rivestito importanza (cervi rossi e grouse, le maxi-pernici, le prede più ambite), Laura recita da Diana, dea protettrice dell’arte venatoria: nel 2014 ha messo le mani sul vecchio record scozzese di Yvonne Murray andando a sfiorare, per sette centesimi, la barriera dei 4’ e l’anno scorso ha dato la scossa impadronendosi del limite britannico che apparteneva a Kelly Holmes: il doppio oro ad Atene su 800 e 1500 convinse la Regina a includere il sergente dell’esercito nell’elenco degli Honours per trasformarla in Dame Kelly Holmes, come Sally Gunnell, come Helen Mirren, come Maggie Smith.

Ma il 3’57”49 di metà luglio agli Anniversary Games di Londra ha avuto vita breve perché a fine agosto, a Parigi, è arrivato il 3’55”22 che ha spedito Laura al 13° posto nella lista di tutti i tempi, una graduatoria che risente pesantemente della famigerata messe raccolta dalle cinesi nelle annate 1993 e 1997, quando a Pechino e a Shanghai le statistiche furono terremotate dal reparto rosso femminile di Ma-Yuren. Oggi pare non sia più politicamente corretto puntualizzare l’appartenenza a una razza, ma è un fatto che i Laura compaia al quarto posto assoluto tra le “caucasiche”, alle spalle di Tatiana Kazankina, di Paula Ivan e di Olga Dvirna e al primo per quanto riguarda quel che un tempo veniva chiamato il blocco occidentale.

Tra l’uno e l’altro record nazionale, la finale olimpica di Rio, una gara iniziata al piccolo trotto che proprio Laura è andata ad animare con un progressivo lanciato ai 500 finali, pensato non come un tentativo velleitario, ma come una fuga per prendersi il bersaglio grosso, andato alla kenyana Faith Kipyegon. Laura settima, ma con l’orgoglio di chi ha voluto giocare sino in fondo le proprie possibilità. Di questi tempi non è frequente sentire battere un cuore così generoso.

Nel 2017, 14’49”12 nei 5000 indoor, nona di tutti tempi, 14” di progresso sul record britannico, vecchio 25 anni, di un’altra scozzese, la magrissima Liz McColgan, l’accoppiata1500-3000 agli Euroindoor di Belgrado, un’altra sfilza di recod britannici e mondiali, l’intenzione di provarsi a Londra su 1500 e 5000, qualche problema fisico, la feroce volontà di esserci a tutti i costi rimediando due piazzamenti strappati con il solito coraggio.

Laura corre e studia veterinaria, non è un militare di comodo. Quando loro, i britannici, sono militari, lo sono sino in fondo, non per lo stipendio sicuro o per qualche annuale comparsata in divisa. Come Heather Stanning, oro olimpico nel due senza nel 2012, capitano (capitana…) di artiglieria con un turno di servizio in Afghanistan, dove è finito anche Semesa Rokodoguni, radici fijiane, caporale esploratore dei Royal Scots, ala del Bath e, ogni tanto (la concorrenza è forte), della nazionale di rugby.

Tutto questo nel giorno in cui ho provato una ramificata invidia: loro hanno un’associazione di scrittori di atletica (ma anche di rugby, di cricket), loro hanno Laura Muir, loro hanno prodotto Jonathan Edwards che adesso coordina i programmi di Eurosport, loro, nel giorno di Tavecchio, copia sputata di mister Magoo, dedicavano le prime pagine alla morte di Jana Novona: le sue lacrime bagnarono l’erba di Wimbledon e provocarono l’affettuoso intervento di Sua Grazia la Duchessa di Kent: “Vedrai, la prossima volta andrà meglio”. Previsione esatta.

 

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