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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Saro' greve / Franco Sar, un sardo oltre Quota-90

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Lunedì 30 Ottobre 2017

sar-f  Franco Sar ai Giochi di Roma

di Vanni Lòriga

Sarò greve, anzi grevissimo con chi mi ha criticato per aver dimenticato di citare, nell’ultima uscita del mio “sarà greve”, il nome e la figura di Franco Sar. Il motivo è semplice. A lui intendo dedicare particolare attenzione. La merita anche perché, fra tutti gli ospiti del recente "Arese-day", è quello che conobbi per primo. L’incontro avvenne esattamente nel maggio del 1945. Con la squadretta di calcio del nostro oratorio della Chiesa di San Francesco di Oristano ci recammo a giocare ad Arborea. Là ci attendeva la squadra dei Salesiani del mitico Don Ruggero Piemontese. L’allenatore era Don Armando Alessandrini che decantò soprattutto il centravanti, un ragazzo che non aveva ancora compiuto i 12 anni, che era già alto 1.80 ed al quale predisse un futuro da campione. Il suo nome era (ed è) Franco Sar.

Come fa un Sardo, ci si potrebbe chiedere, ad essere così alto in tenera età? In realtà Sar è nato in quella plaga dell’Isola il 21 dicembre 1933, in una località che allora si chiamava Mussolinia. All’origine, quando fu fondata nel 1929 (esattamente 88 anni fa, il giorno 29 ottobre), era il Villaggio Mussolini e fu popolato soprattutto da agricoltori veneti e friulani.

Nell’ intervento conclusivo nell’appena citato “Arese day” ho parlato di Quota 90 alludendo alla mia età, tanto da meritare dal salace Cimbricus l’appellativo di Modello 91, il famoso moschetto Carcano usato anche dei bersaglieri, corpo in cui ho militato per lunghi anni. In realtà fu proprio la famosa Quota 90 a determinare una vera migrazione di veneti e friulani verso il Villaggio Mussolini.

Si trattava di un provvedimento del capo del Governo che disponeva la rivalutazione (attuata nel 1926) della nostra moneta per portare il rapporto Lira/Sterlina a 90 contro 1, al posto del precedente 153/1. Venne bloccata l’inflazione galoppante, ma gravi furono le ripercussioni sui piccoli produttori di beni di consumo, soprattutto nell’agricoltura.

Fu proposto a tanti coloni di traferirsi nella zona del Comune di Terralba, dove erano appena stati bonificati terreni paludosi. Alla famiglia Sar, che proveniva da Basiliano (già Pasian Schiavonesco perché popolata da possenti lavoratori provenienti dalla mitteleuropea Schiavonia), venne assegnato un lotto di 12 ettari collocato sulla Strada 14, a pochi metri dal mare in cui il giovine Franco si dedicò al nuoto. Suonava anche il clarino nella banda diretta da Don Scotto. Dimostrò infine attitudine alle prove atletiche, soprattutto nel salto in alto e nel lancio del disco. Si trasferì alla Monteponi di Iglesias dove fu assunto come tornitore.

Tutta la sua vera storia sta per essere pubblicata nella colossale Storia dell’Atletica Sarda di Gianni Usala ma non posso esimermi dal ricordare, con la prosa del “Profeta” Alfredo Berra, i suoi “giorni dei giorni”, cioè il 5 e 6 settembre 1960 quando Sar fu protagonista nel più affascinante decathlon della storia olimpica. Nella seconda giornata della “meravigliosa gara” era al quarto posto dopo Rafer Johnson, Yang Chen-Kwang e l’ex primatista del mondo Vasily Kutznyetsov.

Un operaio sardo sfiora il podio olimpico

“Non sapevamo – scrisse Berra sul Corriere dello Sport – che dopo i tre colossi Johnson, Yang e Kutznyetsov un decatleta azzurro potesse essere quarto al mondo. Franco Sar è l’atleta di cui si parla. Un uomo che in questa Olimpiade sta ottenendo risultati veramente sbalorditivi. Il ventisettenne operaio sardo malgrado sforzi, sacrifici, rinunce possibili solo ad un autentico dilettante innamorato del suo sport non potrà salire sul podio del vincitore ma meriterebbe di essere collocato dopo Berruti nella scala dei valori dei nostri Azzurri. Chi avrebbe osato sperare tanto?”

Franco Sar, che era stato condotto ai vertici dell’eccellenza da Sandro Calvesi, concluse al sesto posto con il personale di punti 7195 migliorando i suoi limiti nelle prove di alto, 400, 110 ostacoli, disco, giavellotto e 1500.

E così ricorda la gara. “Quello è stato un momento di assoluta ed insuperabile gioia. Ho ammirato due Campioni che si sono dati strenua battaglia; due amici che per quaranta ore non si sono scambiati uno sguardo; che si sono sfidati senza pietà e che alla fine, nel momento della massima fatica, si sono riconosciuti. Questo è lo sport: passione, dolore, lotta senza perdere l’amore per la vita e per gli altri uomini”.

Concludo il ricordo legato al debutto di Franco Sar ricordando che la bonifica della piana di Torralba era stata avviata da Giolitti, nativo di Dronero, cioè concittadino di Gianni Romeo, uno degli autori del libro su Franco Arese. Ma non è il solo riferimento ai coautori del prezioso documento. Ce ne sono altri e vado con ordine.

Proprio a Milano accennai al fatto che la mia personale scoperta del sommo velocista Livio Berruti avvenne per invito ad assistere ad una sua gara studentesca da parte del capitano Vittorio Battan. Fu proprio lui il primo a concorrere, sul tema dell’Atletica Leggera, a “Lascia o Raddoppia”, la famosa trasmissione condotta dall'ex saltatore in lungo Mike Bongiorno. Si partiva da una domanda del valore di 10.000 lire e andando in progressione geometrica di ragione 2 (cioè raddoppiando ogni volta) in sei domande si arrivava a quota 320.000 lire. Qui si concludeva la prima giornata.

“Dud” Houser a Lascia o Raddoppia?

Ricordo a tutti che il giovedì sera, quando andava in onda quel Quiz, l’Italia si fermava. Gli stessi cinema interrompevano la proiezione dei film per collegarsi con RAI Uno (in quegli anni c’era una sola rete) e con Mike. E per tutta la settimana fra le puntate (si passava a 640.000; a 1.280.000; a 2.560.000 per giungere ai conclusivi 5.120.000, somma ai quei tempi veramente cospicua) sui giornali si parlava solo di Lascia o raddoppia. Battan, che aveva risposto a quesiti peraltro facilissimi, diventò per sette giorni la persona più nota in Italia. Quando si ripresentò per la seconda puntata Mike Bongiorno, dopo i complimenti di rito, profferì la rituale domanda: “Capitano, lei lascia o raddoppia?” “Un bersagliere non lascia mai!” rispose deciso Battan, onorando uno dei punti del decalogo di Alessandro La Marmora che auspica “fiducia in sé stessi sino alla presunzione”.

La domanda da 640.000 lire fu breve ma insidiosa: “Quale atleta, dopo Robert Garrett ad Atene 1896, ha vinto peso e disco nella stessa edizione dei Giochi?”

La risposta di Battan fu veramente degna della velocità bersaglieresca. “Non lo so!” rispose immediatamente. Ed uscì dalla comune. Sarebbe stato sufficiente dire che si trattava di tal Clarence “Bud” Houser, che realizzò la doppietta ai Giochi di Parigi 1924, replicando l’oro nel disco quattro anni dopo. Laureato in medicina fu in seguito apprezzato dentista delle dive di Holliwood.

Ma chi era l’esperto che formulava le domande per l’atletica? Era il dottor Carlo Monti, bronzo olimpico ed europeo, velocista razzente. E si sa che gli sprinter vanno sempre al massimo e, come tutti sanno, genitore di Fabio Monti, uno dei tre firmatari del libro di cui sopra. Il terzo è Franco Fava, mio successore in rubrica nell’ormai lontano 1992. Nel 1968 aveva vinto a Termoli il GP del Mezzofondo, nello stesso giorno del successo di Pietro Mennea nella staffetta. Il cui trionfo a Mosca 1980 seguii al fianco di Gian Paolo Ormezzano. Prefattore dell’Arese Story. Fu mio compagno di banco durante i Giochi e mi permisi di suggerirgli di tener d’occhio uno di Scarnafigi. Era un certo Maurizio Damilano. E ne valeva la pena …



IL DECATHLON AI GIOCHI OLIMPICI 1960

A Roma la gara di Decathlon venne conteggiata con la Tabella di Punteggio 1952, oggi sostituita da quella nota come 1984/98. Riportiamo il punteggio originale e, tra parentesi, quello ricalcolato con la Tabella oggi in vigore:

1. Rafer Johnson (USA) 8392 [7901]
2. Yang Chuan-Kwang (TPE) 8334 [7820]
3. Vasiliy Kuznetsov (URS/Rus) 7809 [7527]
4. Yuriy Kutyenko (URS/Ukr) 7567 [7401]
5. Evert Kamerbeek (NED) 7236 [7213]
6. Franco Sar (ITA) 7195 [7140]
7. Markus Kahma (FIN) 7112 [7161]
8. Klaus Grogorenz (GDR) 7032 [7078]

Da notare che il sesto posto di Sar resta il migliore piazzamento registrato ai Giochi da un decathleta italiano.



uiz Quiz

 

e con Mike. E per tutta la settimana fra le puntate (si passava a 640.000; a 1.280.000; a 2.560.000 per giungere ai conclusivi 5.120.000, somma ai quei tempi veramente cospicua) sui giornali si parlava solo di Lascia o raddoppia. Battan, che aveva risposto a quesiti peraltro facilissimi, diventò per sette giorni la persona più nota in Italia. Quando si ripresentò per la seconda puntata Mike Bongiorno, dopo i complimenti di rito, profferì la rituale domanda: “Capitano, lei lascia o raddoppia?” “Un bersagliere non lascia mai!” rispose deciso Battan, onorando uno dei punti del decalogo di Alessandro La Marmora che auspica “fiducia in sé stessi sino alla presunzione”.

La domanda da 640.000 lire fu breve ma insidiosa: “Quale atleta, dopo Robert Garrett ad Atene 1896, ha vinto peso e disco nella stessa edizione dei Giochi?”

La risposta di Battan fu veramente degna della velocità bersaglieresca. “Non lo so!” rispose immediatamente. Ed uscì dalla comune. Sarebbe stato sufficiente dire che si trattava di tal Clarence “Bud” Houser, che realizzò la doppietta ai Giochi di Parigi 1924, replicando l’oro nel disco quattro anni dopo. Laureato in medicina fu in seguito dentista delle dive di Holliwood.

Ma chi era l’esperto che formulava le domande per l’atletica? Era il dottor Carlo Monti, bronzo olimpico ed europeo, velocista razzente. E si sa che gli sprinter vanno sempre al massimo e, come tutti sanno, genitore dei Fabio Monti, uno dei tre firmatari del libro. Il terzo è Franco Fava, mio successore in rubrica nell’ormai lontano 1992. Nel 1968 aveva vinto a Termoli il GP del Mezzofondo, nello stesso giorno del successo di Pietro Mennea nella staffetta. Il cui trionfo a Mosca 1980 seguii al fianco di Gian Paolo Ormezzano. Prefattore dell’Arese Story. Fu mio compagno[GL1]  di banco durante i Giochi e mi permisi di suggerirgli di tener d’occhio uno di Scarnafigi. Era un certo Maurizio Damilano. E ne valeva la pena…
 

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