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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / La generazione del Sessantotto

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Lunedì 16 Ottobre 2017

beamon-68

di Giorgio Cimbrico

Da quattro giorni siamo entrati nel 50° anniversario di Messico ’68. Mi sto dando da fare, scrivendo, proponendo, ricercando, perseguitando per l’ennesima vota i testimoni, perché per me e per quelli che, con qualche variazione di millesimo, appartengono alla mia generazione, quell’Olimpiade è stata una rivelazione, una trasfigurazione, un improvviso, una visione. Ce n’è abbastanza per dare un senso a una vita. TH Lawrence si innamorò delle antiche civiltà dopo che Wooley, all’Ashmolean Museum di Oxford, gli mostrò qualche sbrecciata tavoletta ittita e assira.

Noi, in quei giorni che vanno dal 13 al 20 ottobre 1968, abbiamo avuto in sorte una quantità di materiale su cui lavorare per un’esistenza, fissandolo prima in prodigio, poi in pietra di paragone, per giungere alla conclusione che, al netto dell’altura, del tartan, della poca affidabilità dei dati forniti da un anemometro “generoso”, quella generazione, la generazione del Sessantotto, assume quel che, con iperbole verbale, potrebbe esser definita una tribù di semidei

Non è così: erano solo molto normali e molto forti e non avevano bisogno di allenamenti o di allenatori sofisticati. Beamon un allenatore non l’aveva per niente e si fidava di quel che gli diceva Boston. E Lloyd Bud Winter, il tecnico di Tommie Smith, quando Jet, vincendo la sua pigrizia, decise di correre finalmente il quarto di miglio, disse che secondo lui avrebbe impiegato un 42” alto, un 43” alto. A occhio, a palmi. Non andò proprio così, ma Tommie il record del mondo lo centrò, per rimanerne padrone per un anno abbondante, sino a Echo Summit, sino ai prodigi messicani di Evans, James, Freeman.

Nei primi abbozzi di ricerca sulla strada appena iniziata del 50° anniversario, ho notato che ai Mondiali di Londra, Tommie Smith avrebbe vinto i 200 e quel buonanima di Peter Norman sarebbe finito secondo, che Lee Evans e Larry James avrebbero occupato primo e secondo posto nei 400, così come Ralph Doubell e Wilson Kiprugut negli 800; David Hemery sarebbe diventato campione dei 400hs, Bob Beamon del lungo (e questo è abbastanza scontato …) e gli Usa della 4x400. Jim Hines avrebbe pareggiato con Usain Bolt dividendo con il Lampo il terzo posto nei 100, e terzo, senza ex aequo, sarebbe stato Viktor Saneyev nel triplo. Non stiamo parlando di risultati dell’anno prima, di cinque anni prima, ma vecchi di mezzo secolo.

So già che qualcuno contesterà il parallelo, ma nei 100 stile libero vinse l’australiano Michael Wenden in 52”2 che oggi viene nuotato in quelle serie che ai Mondiali o alle Olimpiadi vengono riservate ai paesi più folkloristici.

I grandi di Messico, invece, sono sempre là, immutati, difficilmente uguagliabili. Quelli che abbatterono muri e barriere proibite, quelli che, senza saperlo, divennero, come usa dire oggi, iconici, quelli che finirono per svelare la vena profonda dell’Africa currens. Cominciò, proprio nel primo giorno, Naftali Temu che dopo aver acceso le polveri in pista, non smise di tener accesa la miccia. “Ho battuto Clarke perché si corre in alto? Ma ditemi, due anni fa l’ho battuto a Kingston e là ci sono le montagne?”.Il Kenya era molto giovane e avvertiva i fremiti della crescita, avvertiva le fibre della sua forza e a farne le spese furono Ron Clarke prima, Jim Ryun poi, stroncati dalla spietatezza sorridente di chi non avverte difficoltà nel cambiar senso e ritmo. E Kipchoge Keino aggiunse un’altra K e, come in un mirabile racconto di Kipling, si fece King.

Furono i giorni febbrili dei 24 record del mondo, dell’impresa, degna di un invitto, di Beppe Gentile (due volte nella storia per non stringere lo scettro), dei pugni chiusi sul podio che un magnifico giornalista che se n’è andato chiamò un Golgota moderno, dell’irriverenza di Dick Fosbury. Il mondo (e Città del Messico) odorava di sangue e di polvere da sparo e noi, in quei sette giorni che sconvolsero l’atletica provammo a dimenticare gli orrori di My Lai, le morti violente del reverendo King e di Bob Kennedy. Parigi aveva avuto il Maggio; Messico, l’Ottobre. Credo che di quei giorni, di quegli uomini, parleremo ancora.

Nella foto, ai margini della pedana: "Mister 8.90" Bob Beamon (a sinistra) e Ralph Boston, campione olimpico a Roma, secondo a Tokyo, terzo al Messico.

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