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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Saro' greve / E' il momento di rimettersi in ... Marcia

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Lunedì 28 Agosto 2017

marcia italiana

di Vanni Lòriga

Il mio impegno di non scrivere più di atletica (attuale) non mi vieta, anzi mi induce, a parlare della mia Atletica passata. In attesa delle decisioni delle riunioni indette dalla Fidal per metà settembre getto uno sguardo verso il passato e parto dalla Marcia, da sempre fornitrice di materiale prezioso per i nostri medaglieri. Risalgo alla fine degli anni ’40 quando praticavo la specialità ed a Roma si vivevano momenti di fervida passione. Il punto di riferimento era Mario Di Salvo, stilista eccelso e premiato in Inghilterra con la “rosa d’oro” per l’eleganza del suo incedere. Con lui si distinguevano Salvatore Cascino, Telemaco Arcangeli (detto Artele), Gianni Corsaro, Mario Lelli famoso anche per i film girati con Alberto Sordi e per aver inventato la “retromarcia”, cioè la marcia all’indietro.

Che ovviamente non veniva tollerata dai severi giudici romani. Tanto per capirci i vari Ferruccio Porta ed Italo Carpita agli attuali marciatori non avrebbero consentito di terminare neanche il primo giro di pista …

Quando si parlava di “tacco e punta”

Allora si chiamava “tacco e punta”. E’ diventata altra cosa da quando si tratta di “metatarso e punta”. Una specie di corsetta a ginocchio bloccato (o quasi).

Ma a quei tempi si marciava veramente e per gli allenamenti collegiali i migliori venivano radunati a Monza (quaranta ore di treno per chi, come Corsaro, partiva da Catania); alloggiati nella locale Trattoria dell’uva ed allenati da Ugo Frigerio, l’uomo che tra il 1920 ed il 1932 aveva vinto tre ori ed un bronzo olimpico. Fu lui a suggerire a Pino Dordoni (che sui 10 km di Londra 1948 si era classificato al nono posto preceduto da Gianni Corsaro) di dedicarsi alla maggiore distanza. Ottimo consiglio, considerato che nel 1950 vinse il titolo europeo e nel 1952 quello olimpico. Intanto si avvicinava alla specialità un certo Abdon Pamich che proprio nel 1952 vinse la finale nazionale del Trofeo Donato Pavesi, una gara di propaganda indetta dal Corriere dello Sport.

Dopo Massara ecco i fratelli Pamich
 
Era alla terza edizione: le prime due erano state vinte da Salvatore Massara da Vibo Valentia e da Giovanni Pamich, fratello maggiore di Abdon e poi chirurgo toracico a Monfalcone.

Abdon si assicura il titolo olimpico nel 1964 a Tokio e proprio in quel periodo scopre la marcia un uomo che chiamo ora a testimone di un’epoca felice per la specialità. Si tratta di Roberto Buccione, radici abruzzesi a Guardiagrele, architetto con una tesi sul progetto di un centro sportivo a Roma Sud, venti presenze in Nazionale (una olimpiade ed un europeo), primati mondiali, europei ed italiani nelle prove veloci.

Primi passi nel 1965 indotto alla marcia dal suo docente di educazione fisica, il professor Mario Leone, fratello di Vincenzo il tecnico delle Fiamme Gialle.

“Era anni di fermenti – ci racconta – e noi giovani sognavamo isole che non c’erano. Contestavamo tutto perchè cercavamo una impossibile perfezione. Ed io la trovai nello sport, attività che non vuole distruggere ma migliorarti”.

Prime campestri, addirittura allenamenti in quota a Livigno, frequenza dell’Oratorio salesiano e tesseramento per il la “Simoni”. settore giovanile delle Fiamme Gialle, nate nel 1922 proprio con il tenente Gaetano Simoni, abruzzese di Chieti.

“Le società militari - prosegue Buccione – fra cui quelle di più fresca costituzione, cioè Esercito, Fiamme Oro e Carabinieri si sfidavano a viso aperto e questa rivalità produsse motivazioni sempre nuove. A livello centrale eravamo seguiti al meglio. Il Centro studi ci osservava, in particolare con Enrico Arcelli, un fisiologo illuminato ed avveniristico. Per il miglioramento fisico prezioso fu l’ apporto di Tommaso Assi (troppo presto scomparso). Si parlava di intervall e di circuit training, di streaking, di sci di fondo. Medici e fisioterapisti erano al nostro fianco. Nel desiderio di continuo miglioramento si adottarono strategie rivoluzionarie. Con il DT Enzo Rossi (si potrà di lui dire di tutto, eccetto che non vedesse lontano) vennero promosse trasferte in Messico (allenamento in altura) ed in Australia (nella foto, con Pino Dordoni al centro, i fratelli Damilano e Tommaso Assi in primo piano, Buccione è l'ultimo a sinistra).

La marcia viveva momenti magici anche con le Società tradizionali, con la spinta di Tudoni e Pastorini su tutte. E dal Piemonte giungeva la novità storica dei Damilano. Una famiglia che ha fatto la storia e che continua a farla. Per concludere ricorderò che ai massimi livelli federali (Primo Nebiolo presidente, Luciano Barra segretario generale e Augusto Frasca alla comunicazione) ricevevamo massima attenzione e sostanzioso appoggio”

Unico rammarico in una carriera in perpetuo progresso fu l’esclusione dei militari ai Giochi di Mosca 1980.

“Eravamo preparati al meglio. Una eccezionale verifica fu organizzata il 13 aprile a Formia dove, sui 20 chilometri, ci misurammo in tanti. La gara fu vinta da Bautista, campione olimpico in carica, che precedette Maurizio Damilano poi vincitore ai Giochi. Dietro di loro Colin, Pezzatini, Gonzales (altro olimpionico), Buccione, Visini, Giorgio Damilano, Bellucci, Grecucci. Carpentieri…”

Grande la delusione per una occasione sfumata

“Ma ricordando e rievocando quei tempi – conclude Roberto Buccione – si evidenziano quali fossero gli ingredienti del progresso. Tanto lavoro e bramosia di farlo; programmazione centrale unitaria; ricerca del progresso tecnico e scientifico; assistenza tecnica e sanitaria di altissimo livello; motivazioni sempre crescenti. Non ci sono segreti. Lo sanno tutti cosa bisogna fare per rimettersi in Marcia”.
 

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