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Elzeviro / Il vecchio Consolini e il giornalismo al tempo dei selfie.

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Sabato 7 Gennaio 2016

selfie

di GIORGIO CIMBRICO

Intervento a bassa voce sulla vicenda Consolini e la legittima scelta della Gazzetta dello Sport di ignorarne il centenario. Occasione per originare anche qualche riflessione sulla stampa sportiva al tempo dei selfie.

Voi lo chiamate il cazzeggio, io lo chiamo la bocciofila, per non dire i giardinetti, dove i vecchi danno da mangiare ai piccioni. Non è l’ultimo avamposto, può anche essere un posto allegro. La sapete quella dei due vecchi gallesi che tutti i giorni si ritrovano sulla stessa panca all’omra di alberelli stenti? Uno si chiama Gareth e l’altro David, che in gallese si pronunciano mettendo l’accento sulla seconda vocale. Comunque, un giorno Gareth dice a David. “Pensi che si giochi a rugby anche di là?”. “Penso di sì”. “Facciamo una cosa: il primo che muore, viene a dire all’altro come vanno le cose”. “Ok, promesso”. David muore e Gareth rimane desolatamente solo sulla panchina.

All’improvviso, la voce di David spezza il silenzio: “Gareth, Gareth, sono David”. “Allora, dimmi: si gioca dove sei adesso?”. “Se si gioca? Tutte le settimane. A proposito, sabato giochiamo contro quelli di Glamorgan e tu giochi ala”.

Ora, è chiaro che quelli che abitano in paradiso o in quello che viene chiamato aldilà, giocano, corrono, saltano, lanciano meglio di quelli che hanno ancora una residenza più solida, nel mondo cosiddetto reale: l’Empireo ha la sua dimensione, i suoi valori, il suo fascino, è popolato di eroi, centauri o benevole che possono trasformarsi in erinni. Un posto se lo sono assicurato anche quelli che ci hanno preceduto dopo aver praticato l’arte (o l’artigianato) della scrittura o del giornalismo orale, dotato o no di immagini.

Se, come i poeti, anche i campioni si sono estinti, anche la nostra razza si sta avviando al destino che colpì il povero dodo, il massiccio uccello inetto – nel senso che non volava - originario di Mauritius che si trasformò in succulenta riserva di carne per i marinai che sbarcavano da quelle parti, sulla via dell’India. Mangiati, divorati da questo tempo isterico e vuoto che vive di stilemi sempre uguali, usati per ogni evenienza, in qualsiasi campo. O che propone chi un tempo ritenevamo buoni per scrivere le didascalie o sottoclichè.

Un esempio: in questi giorni non ho mancato di seguire il Tour de Ski su Eurosport. Tra gli uomini ha dominato Sergei Ustigov e mai una volta chi commenta e non fa altro che glorificare il 30° posto di un azzurro, il 42° di un’azzurra (già, è nato un irragionevole nazionalismo che vorrebbe anche essere rassicurante), ha raccontato chi è Ustigov. Così sono andato a cercare e ho scoperto che viene dagli Urali, stessa regione dove era nato Zaitsev, il cecchino di Stalingrado, eroe dell’Unione Sovietica e da dove sono arrivati tanti altri grandi campioni dello sci di fondo e dello sport russo, uno è Ivan Ukhov.

Come diceva il professor Umberto Eco, appassionato tra le altre cose di flauto dolce, l’interrogativo è legato alla diteggiatura: lei usa quella della scuola di Mannheim o l’olandese, alla Bruggen? Loro, quelli del nuovo giornalismo, praticano una diteggiatura così rapida sui tasti del computer e sui non-tasti dei loro formidabili telefonini che permette loro di rafficare cifre, numeri, statistiche, notizie che non sono notizie e che non varrà la pena di smentire, un repertorio di nulla, di pronto uso, come lo scrostacessi – cito ancora Eco – che Mike Bongiorno non solo pubblicizzava ma glorificava.

I giornalisti hanno subito una mutazione: sono attacchini, imbonitori, impiegati senza una prospettiva, poligrafici, sparafucile pronti a vendersi al migliore offerente e, naturalmente, bravi cristi come noi, con lo svantaggio dell’età: cosa li aspetterà ancora? Esiste anche un’aristocrazia, sempre più esigua. Ma è difficile chiamarli colleghi.

E così voi, cazzeggiatori, falleggiatori, panchinari, bocciofili, vi stupite e in una certa misura vi indignate per quel che non è stato fatto per Consolini. Ha detto bene Gianni Romeo: siamo fortunati ad avere un’oasi. Nel cinquantesimo anniversario della sua prima apparizione, ho pensato che non sarebbe male ammettere nella confraternita Corto Maltese: porterà con sé una bottiglia di Còte de Nuits e un mazzo di rose di Piccardia e ci racconterà storie di baci e spari. (Cimbricus).  

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