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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Storia / La quercia di Ondina, prima italiana d'oro ai Giochi

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Sabato 6 Agosto 2016

valla

di AUGUSTO FRASCA

Cade oggi l'ottantesimo anniversario della vittoria di Trebisonda Valla negli 80 metri ad ostacoli ai Giochi di Berlino. Una occasione per ricordare "Ondina", la prima italiana ad aver vinto la medaglia d'oro olimpica.

Fritz Schilgen, mezzofondista. Fu l’ultimo tedoforo del lungo percorso di 3.075 chilometri compiuto dalla fiaccola accesa il 20 luglio nella piana di Olimpia. Era la prima volta nella storia olimpica, promotore Carl Diem, cultore di antichità e segretario generale dei Giochi. Assegnataria dei Giochi nel 1931, due anni avanti l’ascesa di Adolf Hitler alla cancelleria del Reich, superato senza danni il tentativo dei "contro Giochi" promosso a Barcellona con l’Olimpiada Popular da varie associazioni d’ispirazione socialista, il primo agosto Berlino aprì le porte a 3.954 atleti e a 49 nazioni. Su incarico diretto di Hitler, nel dispetto di Joseph Goebbels e in piena autonomia creativa, di quei Giochi realizzò insuperato documento estetico Leni Riefenstahl: Olympia, quattrocentomila metri di negativo, pellicola in bianconero da 35 mm, trentotto operatori utilizzati. Diversamente dal Trionfo della Volontà, girato in occasione del congresso nazionalsocialista di Norimberga, Olympia non fu un’opera di propaganda, ma un inno alla classicità e capolavoro della cinematografia mondiale, nulla a che vedere con il mattatoio scatenato di lì a poco da un uomo e da un’ideologia sanguinaria.

Reduce dallo spettacolare secondo posto nel medagliere sottoscritto a Los Angeles, quattro anni dopo l’Italia tenne fede alla classifica del 1932 arrendendosi nel pallottoliere finale solo alla compagine locale e a quella statunitense. In un’edizione olimpica che ebbe l’apice agonistico e romantico nelle quattro sublimi affermazioni di Jesse Owens su 100, 200, salto in lungo e staffetta 4x100, l’atletica italiana trovò il 6 agosto, nell’arrivo infiammato sul filo d’arrivo degli 80 ostacoli, un momento tra i massimi nella storia del nostro sport. Per le firme di Emilio Colombo e di Luigi Ferrario, la Gazzetta dell’epoca titolò di un tricolore sul più alto pennone dello stadio e di un atletismo azzurro all’ordine del giorno nelle stesse ore segnate dai terzi posti di Beccali sui 1500 e di Silvano Abba nel pentathlon moderno.

Quel tricolore sul pennone più alto del podio aveva iniziato a prendere vita nove anni avanti, quando l’undicenne Trebisonda Valla, scuola elementare Edmondo De Amicis, popolare rione di Porta Galliera, aveva sollevato il proprio corpo elevandosi da terra a 1 metro e 10 centimetri nella prima gara della sua vita. A 14 anni, sulle spalle della ragazza bolognese, la prima maglia della nazionale e il primo titolo italiano, fino all’esplosione maturata nel 1933, quattro medaglie d’oro ai campionati mondiali universitari di Torino, e alle rifiniture tecniche successivamente adottate da Boyd Comstock, l’allenatore di origini indiane chiamato dalla California per imprimere una svolta all’evoluzione dell’atletica italiana.

VALLA

Salvo qualche sporadica ricorrenza, nell’ignoranza dei più, nei decenni successivi quella donna e quel successo non furono mai oggetto di particolari consumi mediatici. Ma l’affermazione di Ondina Valla aveva in realtà aperto un’epoca sulla linea simbolica tracciata anni avanti, con l’accesso formale di prove femminili ai Giochi di Amsterdam, dalla francese di Nantes Alice Milliat, l’inflessibile sostenitrice dello sport e delle conquiste sociali della donna a dispetto delle parrucche del Comitato olimpico internazionale.

La ragazza che si fece regina

Il 1936 di Ondina Valla fu un sentimento forte che l’incorrotta aristocrazia dei credenti della prima disciplina olimpica custodisce a dispetto dei tempi con inalterata gelosia, e che le nitide immagini rintracciabili su Youtube, quegli 11 secondi e 7 decimi delle prime quattro atlete, riportano in tre suggestive sequenze nella loro piena integrità, di spalle, frontalmente, di tre quarti. Sul podio, Ondina ringraziò Iddio, la madre e il padre, gli invisibili incroci di vita e di sangue, la Patria Italia, il luogo, l’evento, le coincidenze astrali, le condizioni fisiche, i primi insegnamenti atletici, le grazie imperscrutabili che l’avevano di colpo trasformata da donna in regina, facendo della cronaca d’un momento un inno all’eternità.

Folgorante era stato sulla terra della pista l’avvio di Claudia Testoni, grande signora nello sport e in vita, l’antica, giovanissima rivale nella "Bologna Sportiva", un metro di vantaggio fino al passaggio del terzo dei dieci ostacoli. Poi, la ripresa progressiva di Anni Steuer, di Elizabeth Taylor e della ventenne cui il provvidenziale intervento della capitana Marina Zanetti aveva eliminato l’imbarazzante anagrafe di Trebisonda assegnatale al fonte battesimale il 16 maggio 1916 da un padre affascinato dalla turca Trebizond. In quattro piombarono sul filo. Fu la Ziel-Zeit-Kamera a mettere ordine sull’incertezza dell’arrivo, Valla, Italia, prima in 11.748, Steuer, Germania, seconda in 11.809, Taylor, Canada, terza in 11.811, Testoni, cui il futuro, fra il 1938 e il 1939, farà giustizia elevandola alla conquista del titolo europeo e di tre primati mondiali, quarta in 11.818.

In due salirono sul podio, Valla e Steuer. Convinta del quarto posto, Taylor s’era persa nell’immensità dell’Olympiastadion che gli interventi di Albert Speer avevano reso adeguato alle grandiosità del Reich. Sguardo fiero, braccio teso al suono di Giovinezza, Ondina Valla chinò il capo per ricevere attorno al collo, dalle mani del membro italiano del CIO Alberto Bonacossa, la medaglia d’oro. Le verrà rubata, anni dopo, avendone copia in metallo nobile dalle mani di Primo Nebiolo, in occasione dei festeggiamenti messi in piedi per i reduci dei Giochi di Los Angeles del 1984.    

Una quercia come premio e memoria

Al rientro da Berlino, mittente un palazzo del Quirinale ancora per dieci stagioni destinato a sede esclusiva dei cerimoniali della casa reale, la prima olimpionica dello sport italiano ricevette, del tutto inattesa, una foto con dedica: "Alla signorina Ondina Valla. Elena". A palazzo Venezia, il cinque settembre, tra le medaglie olimpiche guidate dall’onnipotente generale della Milizia e reggitore dello sport nazionale Giorgio Vaccaro, insieme con la gratifica di un libretto postale al portatore di cinquemila lire, Ondina finì al fianco di Benito Mussolini, su espressa richiesta del duce, nelle immagini di rito. La quercia di 70 centimetri assegnata ai vincitori con teca di porcellana e scritta "cresci per onorare la memoria, sii di sprone a nuove gesta", volle fosse piantata nella sua Bologna all’ingresso dello stadio del Littoriale.

Identica a quelle consegnate alla nazionale di calcio di Vittorio Pozzo, agli schermitori guidati dall’immenso Giulio Gaudini cresciuto alla scuola di Salvatore Angelillo nella palestra romana dell’Audace, al pugile Ulderico Sergo e ai velisti della classe 8 metri magistralmente condotti da Luigi De Manincor alla prima affermazione olimpica di un equipaggio italiano nella storia dei Giochi, quella quercia tenne magnificamente vita fino al 1990, quando i cambiamenti strutturali voluti per i mondiali di calcio compromisero l’estetica dello stadio e l’esistenza d’uno dei simboli del 1936. Nel 1997, alla presenza dell’antica, ottantunenne regina degli ostacoli, e di un’altra regina dello sport e dell’atletica, Sara Simeoni, una nuova quercia fu piantata nella curva dello stadio intitolata al nome e alla vita dell’apologeta e vate del socialismo Andrea Costa. Di quelle querce, che si sappia, insieme con le lastre di travertino che evocano, scolpiti, i nomi degli schermitori azzurri, resta, superstite testimonianza, un esemplare insediato nel giardino del Campidoglio, nell’angolo alto della piazza michelangiolesca, sotto lo sguardo inerte della lupa bronzea, nell’ignoranza delle moltitudini di politici e di amministratori, di procacciatori d’affari, di sicofanti e di falsi servitori del popolo soliti avvicendarsi nei centri di potere capitolini.    

Il matrimonio e gli anni di guerra

Ondina Valla chiuse la carriera agonistica nel 1940 con la maglia della Parioli Roma e con 1.50 nel salto in alto, sedicesimo titolo nazionale e trentotto primati italiani alle spalle. In piena guerra, nel 1944, in una chiesetta sotto i portici di Porta Castiglioni, una dispensa speciale del vescovato in carenza di documenti, una pasta e fagioli improvvisata dalla madre come pranzo di nozze, il matrimonio con Guglielmo De Lucchi, giovane medico del Rizzoli di Bologna, l’attraversamento rischioso delle linee verso Verona, il rifugio provvidenziale a Desola di Mantova in casa di Claudia Testoni, sposata da tre anni con Edo Pedrazzini, dignitosi trascorsi da astista: "La casa di Claudia mi sembrò un approdo definitivo. Materializzava la salvezza".

A guerra finita, la carriera del marito portò in successione la coppia a Lanciano, Pescara, Chieti, ed infine all’Aquila con l’apertura di una clinica ortopedica. Ondina si occupò della gestione della casa di cura anche dopo la morte del marito, avvenuta nel 1964. La incontrammo più volte, nella sua abitazione di via XX Settembre, ginocchia e schiena compromesse, la compagnia di un bastardino e di una gatta, mente e ricordi a lungo lucidissimi, la certezza di essere stata e rimasta, in anticipo con i tempi, prima donna dello sport italiano, le tracce vive e l’energia di una marcata esuberanza giovanile temperata dalla severità dei costumi familiari e dai pudori dell’epoca.

Ondina Valla morì all’Aquila il 16 ottobre 2006. Ricorrono dieci stagioni da quella scomparsa, ottanta dai giorni del 1936, cento dalla nascita. Da anni, ad Anzola, nella meravigliosa azienda di macchine per gelateria nata nel 1945 dall’intuito di Poerio e Bruto Carpigiani, scolpita da Rito Valla, fratello di Ondina, una statua evoca la storia della signora di Berlino. A Potenza, nel 2012, un censimento toponomastico accertò che delle 168 vie o piazze del capoluogo della Basilicata solo quattro erano dedicate al genere femminile: a tre Sante, Maria, Lucia e Caterina, e a Ondina Valla.

 

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