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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Doping / La lotta contro il tempo di WADA e CIO

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Mercoledì 15 Giugno 2016

wada-reedie

L'offensiva al doping lanciata dal CIO - legata ai 55 "cold cases" dei Giochi 2008 e 2012 (in attesa dell'esplosione di quelli 2014) - va facendo molte vittime. E non solo tra gli atleti coinvolti. Ma, risvolto non secondario, sta seminando un senso di impotenza, distribuendo in pari dosi (tanto per restare in tema) insicurezza e sospetto. Si pensi a quanti sono stati truffati, a quanti si sono visti sottrarre una medaglia che avrebbe potuto cambiare il corso della loro esistenza, non solo i loro palmares sportivi. Ma anche a chi, colto in fallo ad anni di distanza, può anche fare spallucce e tirare diritto. Chi cercava scorciatoie e vantaggi, li ha ormai avuti e sfruttati. Anche se in maniera truffaldina, senza tenere conto che non sono pochi quelli che hanno da tempo lasciato l'attività.

Certo, resta il disdoro, la cancellazione dalle classifiche, la restituzione delle medaglie e, in certi casi, anche dei premi. Su tutto, incombe la generale condanna. Ma questa riprovazione, a distanza di anni dall'offesa, finisce con l'avere un effetto in qualche maniera attenuata, e la cui principale conseguenza appare la riscrittura dei medaglieri. Tanto è vero che l'opinione pubblica si è concentrata sui casi più vicini nel tempo: su tutti, il coinvolgimento di Usain Bolt, privato di una delle medaglie cui più teneva, l'oro della 4x100 di Pechino, per colpa di Nesta Carter.

D'altra parte se il ricorso a forme di doping sempre più raffinate continuerà a diffondersi, malgrado gli sforzi di WADA e CIO, conservare per anni i "campioni" per riesaminarli con tecnologia più avanzate sarà il male minore e necessario. Anzi, l'unico. Almeno fino a quando non si potrà ridurre il ritardo metodologico con cui si scoprono (e puniscono) i colpevoli. 

Ultimo caso di questo ritardo, in ordine di tempo, riguarda le 211 sacche di sangue e plasma dell'Operazion Puerto, da una decina d'anni segregate nei sotterranei nel laboratorio antidoping di Barcellona, l'unico rimasto attivo in Spagna dopo la recente sospenzione di quello di Madrid da parte della stessa WADA presiedura da Sir Craige Reevie (nella foto).

Indagine ora riaperta da una controversa sentenza di un tribunale civile e che vede anche il CONI tra i soggetti maggiormente interessati a individuare i proprietari di quel sangue (si tratterebbe per lo più di ciclisti e di atleti). Anche questa volta sarà certo fatta giustizia ed i colpevoli verranno cacciati dal tempio, ma ...         

   


 

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