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Ciclismo / Nibali e il Giro: e' ancora il tempo degli eroi?

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Domenica 29 Maggio 2016

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Si è concluso a Torino, con otto giri sui viali cittadini, la 99. edizione del Giro d'Italia partita tre settimane prima dall'Olanda: l'ha vinta il grifagno siciliano Vincenzo Nibali, passato in poche tappe dalle lacrime di un possibile ritiro a una impresa, se così si può dire, d'altre epoche. Per moltissimi anni il Giro è stato il solo avvenimento sportivo capace di mobilitare gli abitanti del Bel Paese. Una sfida da immaginare più che vedere, per lo più da leggere, ma capace di unire sulle strade le città e i borghi più sperduti. Oggi, certo, non è più così nè potrebbe esserlo.

Tanto per dire: per seguire la corsa non è più richiesta l'uscita di casa, basta sdraiarsi davanti agli schemi in HD, nè più nè meno come avviene con le auto della F1, pronti a cambiare canale all'annuncio della pubblicità. Dimenticando che tutto il Giro vive, e si nutre, di pubblicità. Come diversamente spiegare che la maglia rosa, simbolo del successo, ne ha figliate altre sei di diverso colore, a seguire le pressanti richieste delle aziende? E' il trionfo del progresso e della tecnica, bellezza.

Però, intendiamoci, a Nibali e alla sua ossuta e caparbia volontà non va tolto nulla, sono queste le regole del gioco. Ha vinto seguendo un copione a sorpresa (e ora proverà a vincere il Tour e le Olimpiadi), pur se le celebrazioni che ha sollecitato dopo la tappa di Pinerolo, appaiono francamente sopra le righe per un professionista che, per vivere, ha scelto di correre in bicicletta. Se poi lo fa bene, e con successo, tanto di meglio per lui e per chi lo segue con simpatia. Tra i vari possibili esempi di queste esondazioni, nel caso vi fosse sfuggito, riporto quanto ha scritto Andrea Monti, dallo scranno più alto della Gazzetta dello Sport. Dunque, ecco quanto:

"Vincenzo Nibali completa il ciclo classico dell'eroe e mette il suo sigillo su uno dei Giri più straordinari, appassionanti e sorprendenti che la pur ricca mitologia rosa ricordi. Ogni poema epico che si rispetti chiede il suo klimax e un'immagine che fermi per sempre il momento catartico: ieri, in quel duello risolutivo ad alta quota tra quattro campioni racchiusi in un fazzolletto di secondi Omero ha incontrato Hitchcock". E così via, poetando. Una spremuta di buoni sentimenti per spiegare alla gente che cosa esattamente aveva visto il giorno prima in TV.

Non so se questa edizione del Giro entrerà nella storia della "corsa rosa", come si diceva una volta. Ma è stata l'occasione per una coraggiosa impresa (questa si) editoriale che vale la pena rammentare. Alla partenza del Giro n. 99, la Rizzoli ha mandato in libreria una ristampa degli articoli che Indro Montanelli aveva scritto per il Corriere della Sera seguendo, da inviato, i Giri dei primi anni della Repubblica, quelli del 1947 e del 1948. Titolo, neanche tanto originale: "Indro al Giro". Era quello il ciclismo dei giorni di Bartali e Coppi, i due partiti che l'Italia la dividevano più che tra monarchici e repubblicani, tra democristiani e fronte popolare.

Una bella idea per chi l'ha avuta, un godimento per chi ha voglia di (ri)leggere quegli articoli e tuffarsi in quelle atmosfere. Che senza richiamarsi a klimax e a dicotomie tra Omero e Hitchcock, regala un paio d'ore di godimento, non solo estetico. Spenta la TV sulla maglia rosa di Nibali (per la "passerella finale", in una nottata di lavoro frenetico, gli hanno preparato a Padova una bicicletta tutta rosa da indossare assieme a calzini in tinta), vi consiglio questa lettura. Dove potreste imbattervi in frasi come questa: "E' la tecnica che uccide le favole, e il Giro d'Italia è una favola che ha commosso sino a ieri le folle". Appunto, sino a ieri.  

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