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Persone&Storie / Tasca d’Almerita: il nobiluomo che andava a cavallo

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Venerdì 6 Maggio 2016

Nobiluomo dagli antichi tratti, ma proiettato nel futuro, regna oggi su in impero che ha fatto dei vitigni di qualità il suo marchio di origine. Parliamo del conte Lucio Tasca d’Almerita che poco più che ventenne, da studente universitario, ha preso parte ai Giochi di Roma nel Completo di equitazione. Negli annali, si rintracciano un suo quinto posto nella prova a squadre e un dodicesimo nell’individuale. In squadra lo aveva voluto il mitico Tommaso Lequio di Assaba che poi, a cose fatte, venne aspramente criticato (a suo scusante aveva gli incidenti che misero fuori gioco i due cavalli di Alessandro Argenton, in gara costretto al ritiro), ma che si rifarà ampiamente quattro anni dopo a Tokyo con Mauro Checcoli. Così, primo degli azzurri, davanti a Ludovico Nava e Nanni Grignolo, si classificò lo studente siciliano, figlio di un sindaco di Palermo, che “aveva iniziato il galoppo come preda di una strana e improvvisa felicità”.

La gara, dicono le cronache, fu dominata dagli australiani, primi e secondi nell’individuale, primi con la squadre. Il maggior storico dell’equitazione, il generale Giuseppe Veneziani Santoni, dell’esibizione di Tasca ha lasciato scritto: “Riportò la migliore classifica, dodicesimo. Ma avrebbe potuto fare ancora meglio se avesse diminuito la velocità durante lo steeple ed aumentata quella del cross in cui fu penalizzato di 17,20 punti che avrebbe potuto evitare se avesse graduato meglio le forze, che lo portarono all’arrivo col cavallo quasi sfinito per lo sforzo.” Il cavallo “quasi sfinito” era il baio di proprietà Rahin.

Che ne fu in seguito di Tasca? Quella dei Pratoni del Vivaro restò la sola gara olimpica di Tasca. Nel suo futuro c’erano le vaste proprietà di famiglia, 500 ettari di vigneti distribuiti in cinque feudi, otto generazioni alternatesi in 200 anni di storia. Azienda agro-alimentare trasformata dal conte Lucio in una delle maggiori aziende viticole dell’isola, la cui missione resta oggi – affidata ai quattro figli – “la salvaguardia del gusto siciliano e delle sue materie prime”. Una attività che ha avuto inizio intorno al 1830 quando la famiglia acquistò l’ex feudo Regaleali, con una grande villa del Cinquecento, avviando un’attività agricola diventata col tempo una importante impresa vitivinicola (ma con produzione di qualità estesa anche ad olio, miele, confetture scovate negli angoli più riposti della Sicilia, distribuita in quattro continenti e vendute anche sul web).

Col tempo, l’aristocratico conte Lucio che che di quel salto nella modernità è stato il fautore, oggi settaseienne, si è fatto discretamente da parte, lasciando ai figli la conduzione dell’azienda, dedicandosi a caccia e pesca, ma anche alle cure per un orto botanico di due ettari con rare piante officinali ed esotiche. L’equitazione è solo un ricordo lontano.
 

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