- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Focus / Ma che ci fa "questo" calcio nel CONI?

Venerdì 15 Gennaio 2016

fifa

(gfc) Il convegno sul fair play finanziario del calcio europeo, organizzato martedì scorso alla Bocconi, anche se non ha introdotto nulla di nuovo sugli scenari prossimi venturi, ha avuto il merito di ricalcolare la diversità (anche di prospettive) tra "questo" calcio di spettacolo e l'organizzazione sportiva di matrice olimpica, rappresentata in Italia dal CONI. E di cui i club del calcio più professionale, alcuni dei quali quotati in Borsa, fanno parte a pieno titolo. Due mondi lontani, con filosofie quasi opposte, soprattutto con risorse economiche profondamente squilibrate, ma costretti a convivere, almeno in base agli obblighi legislativi. Obblighi che per il CONI, un Ente pubblico finanziato interamente per quattrocento milioni all'anno dal Ministero delle Finanze, risultano molto stringenti. Quattrocento milioni, una miseria se stiamo alle cifre che il calcio di spettacolo riceve dai soli diritti televisivi, peraltro in continua espansione.

Non per nulla, è stato detto a Milano, la sola Premier League, tra il 2016 e il 2019, distribuirà alle squadre inglesi 4 miliardi di euro. Cifre che ingolosiscono e creano desideri di emulazione. Non per nulla il tema centrale del convegno verteva proprio sui conti da tenere a freno, anche se - alla fin fine - "ai tifosi non importa nulla che la propria squadra abbia i conti in ordine, quello che interessa è solo vincere". La stessa regola del break-even voluto dall'UEFA - come ha ricordato Michele Uva, oggi DG della FIGC, dopo il breve transito alla CONI-Servizi - "costituisce lo spauracchio dei maggiori club europei", schiacciati tra esigenze contabili e gestione dei risultati. Un equilibro che si è rotto da tempo dopo l'ingresso nel grande business del pallone europeo dei maggiori e disinvolti magnati arabi, russi e, più recentemente, asiatici.

Ricchi scenari aziendali, chiamiamoli così, che hanno poco da spartire con il resto del malmesso carrozzone olimpico, il solo sul quale si abbatte il ciclone doping (curiosamente, nessun calciatore figura mai tra i "peccatori"). Anche se bisogna dare atto al CONI di Malagò di aver in qualche modo rivisto almeno i rapporti contabili con la federazione calcio. Ma questo è un dettaglio che non modifica di molto la dicotomia che esiste oggi in Italia tra il calcio di spettacolo (sempre meno di matrice nazionale, peraltro), votato a maggiori risorse economiche e a utili provvidenze fiscali, rispetto a un "tutore" pubblico - come il CONI - che ha primariamente l'obbligo di promuovere a tutto campo la pratica sportiva. Non di produrre utili contabili.

Proprio i due successivi "riordini" del CONI - che il legilslatore, un po' avventatamente, ha introdotto al passaggio del secolo - già deficitari all'origine, dopo un quindicennio mostrano tutte le loro approssimazioni. Mentre lo sport di livello va in altre direzioni. Lo ha confermato indirettamente proprio il convegno della Bocconi quando sono stati esaminati i progetti che, a partire dalla stagione 2018-19, dovranno riordinare le competizioni europee. L'idea attorno alla quale si vanno coagulando i maggiori consensi - idea non nuova, della quale si parlò molto negli anni Novanta - è quello di una Lega Europea che riunisca i maggiori club continentali (le 4 o 5 maggiori squadre di Inghilterra, Spagna, Italia, Germania, Francia). Con l'obbiettivo di incrementare e produrre nuove risorse ecomiche generate dal fenomeno calcio (si valutano in almeno un miliardo e mezzo i "tifosi"). Sull'esempio di quanto avviene negli USA con le varie Leghe professionistiche, che muovono cifre molto più consistenti. Anche se nessuno ha ricordato come, proprio in Amerca, le regole finanziarie siano molto, ma molto, più stringenti.

Idea, se vogliamo, figlia dei tempi che pone però diversi interrogativi. Il primo riguarda i rapporti da ridefinire tra squadre di club e squadre nazionali, tutti da precisare. Ma questo è un problema non solo italiano. Del tutto italiano, e anomalo, appare invece mantenere la convivenza tra questo tipo di calcio-spettacolo (con le sue norme, tecnologiche e in chiave televisiva, continuamente aggiornate) e una organizzazione sportiva nazionale che - malgrado le presunte "riforme" - continua ad affondare le sue rigide fondamenta in un lontano passato. Non sarà il caso di fare qualche riflessione?  

Cerca