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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Walk of Fame / Lettera aperta al presidente Malago'

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Mercoledì 16 Dicembre 2015 

di ALBERTO BRAGLIA (tramite SANDRO AQUARI)


braglia


Gentile Presidente Malagò,

sono Alberto Braglia e mi scuso se la disturbo per una cosa, in fondo, di poco conto. So che Lei, come Numero Uno dello sport italiano, ha tanti pressanti impegni: il prossimo anno ci saranno le sue prime Olimpiadi estive e vuole giustamente fare bella figura e, inoltre, mi dicono che sta lavorando a un sogno, quello di riportare i Giochi Olimpici in Italia. Glielo auguro di cuore. Io, qui dove sono da oltre un sessantennio, invece ho poco da fare, ogni tanto qualche capriola ma nulla di più.

Lei ha sicuramente sentito parlare di me, sennò non sarebbe il Presidente del CONI: in fondo sono ancora tra i venti atleti italiani che hanno conquistato almeno tre medaglie d’oro olimpiche, in anni dove la ginnastica non le regalava a piene mani come oggi. Inoltre di questi tempi il mio nome è tornato un po’ alla ribalta grazie al calcio e al Carpi che in Serie A le sue sfide casalinghe le gioca nello stadio della mia Modena intitolato proprio al mio nome, un regalo che i miei concittadini mi hanno voluto fare nel 1957, tre anni dopo la mia dipartita.
Ma veniamo al motivo di questa lettera.

Poco tempo fa incontro il mio compaesano Pietri Dorando che mi dice: “Hai visto, Alberto, che bravo Malagò, il presidente del CONI: motu proprio ha voluto inserire anche il mio nome nella Walk of fame dello sport italiano, una bella iniziativa per ricordare i grandi azzurri del passato, più o meno recente. I primi 100 sono stati scelti da una commissione di atleti, ma il mio nome non c’era. Forse pensavano che io fossi famoso solo per quella storia di Londra, dove – come piace ricordare agli inglesi – diventai ‘colui che ha vinto e perso la vittoria’, motivo per cui un grande compositore americano volle dedicarmi una sinfonia. Ma adesso, con i primi aggiornamenti, è tornato tutto a posto. A proposito Alberto, ma perché tu non ci sei? hai dato fastidio a qualcuno?”.

Caro Presidente, io di questa storia della Walk, o come cavolo si dice, non sapevo molto. Sa, sono stato sempre un tipo umile e che ha avuto sempre a che fare con la miseria. Mio padre era muratore, io a dodici anni portavo già qualche soldo a casa facendo il garzone dal fornaio ed ero un ignorantello avendo potuto andare a scuola solo fino alla terza elementare. E’ stata la ginnastica, con i primi allenamenti inventati nel fienile di casa, a rendermi famoso e poi l’aiuto del grande Giovanni Frascaroli che mi fece da maestro. Dopo i due argenti ai Giochi del decennale di Atene del 1906, dove avevo entusiasmato il pubblico greco che si era messo a gridare “Viva l’Italia, viva Garibaldi”, Vittorio Emanuele III volle conoscermi e mi chiese di esprimere un desiderio: io dissi a Sua Maestà che volevo solo un posticino da operaio nella Manifattura Tabacchi del mio paese. Per me era un sogno proibito.

Poi arrivarono gli altri successi: l’oro nel concorso individuale a Londra 1908, gli altri due ori a Stoccolma, nel 1912, dove rivinsi l’individuale, ma anche il titolo a squadre. Ma queste sono dati che Lei potrà leggere sui tanti libri che ricordano la storia olimpica dell’Italia. Mi vergogno un po’ a ricordarle che a Londra furono disputate solo due specialità ed io nell’individuale primeggiai in tutte e sette le discipline. Dicono che al Cavallo con maniglie fui perfetto e che addirittura sul prato del White City i giudici inglesi fossero in imbarazzo perché, a loro dire, il codice dei punteggi era inadeguato per valutare il livello dei miei esercizi. Certo, al Cavallo con maniglie ero bravo soprattutto grazie al mio segreto, quello della “presa digitale”, da me inventata alla buona, sulle panchine in marmo dei giardini pubblici della mia Modena.

A Stoccolma poi, da capitano, ho guidato davvero uno squadrone, quello che oggi da voi sarebbe chiamato un “Dream Team” e mi fa piacere che nel primo listone abbiate ricordato, tra i grandi dello sport italiano, un mio compagno di allora, Giorgio Zampori. Poi lui, tra Anversa e Parigi, si guadagnò altri tre ori, un grande senza dubbio, come furono grandi gli altri ginnasti che avete incluso nell’elenco, Paolo Salvi (morto a Mauthausen), Romeo Neri, Franco Menichelli e Jury Chechi. Spero che appena smetterà, arrivi anche la prima donna, la brava Vanessa Ferrari, un fenomeno, fa cose che io manco mi sognavo un secolo fa. Dopo Stoccolma, a 29 anni, ero abbastanza noto nel mondo della ginnastica, addirittura mi consideravano un mito, forse solo esagerazioni.

Tanti onori ma pochi soldi, così per vivere dovetti mettermi a fare un po’ il saltimbanco in giro per il mondo portando sul palcoscenico le storie di Fortunello e Cirillino, sì proprio i famosi personaggi del “Corriere dei Piccoli”. Tuttavia riprovai l’entusiasmo del clima olimpico nel 1932, quando a Los Angeles ebbi l’onore di guidare la squadra di ginnastica: fu un nuovo trionfo con la vittoria a squadre e le tre medaglie d’oro vinte da Neri e Savino Guglielmetti. Vede, Presidente Malagò, nella mia vita la fortuna è stata un po’ come una sorta di capriola acrobatica, un po’ su e un po’ giù. Il talento mi ha salvato dalla miseria più nera, ma ho perso anche una figlia di soli quattro anni, sono stato squalificato con l’accusa (falsa) di professionismo, ho subito un grave infortunio alla spalla e poi la guerra che mi ha portato via tutto quello che avevo costruito negli anni: un bar, un podere, la casa, tutto distrutto dai bombardamenti o mangiato dall’inflazione.

Ammalato e povero in canna sono finito in ospizio, anche se un giorno un giornalista mi ha riconosciuto anche perché la mia foto (che mi permetto di inviarLe), con la maglia della Panaro e tutte le medaglie appuntate su quel petto vigoroso e giovanile, era “virale” come direste voi oggi. Convinse il Comune ad assegnarmi un posto di custode proprio nella palestra che portava il mio nome, strano davvero il destino! Fu un bel periodo quello e non tutti mi avevano dimenticato, tanto che il CONI di Giulio Onesti volle invitarmi ad assistere ai Giochi di Londra.

Ma quando poi il Comune, per le difficoltà di bilancio del dopoguerra, mi tolse anche quel modesto stipendio, intervenne ancora il CONI e il segretario di allora – Bruno Zauli – mi fece erogare un piccolo vitalizio. Ma che servì a poco contro la trombosi che mi portò definitivamente via di lì a qualche anno, a 71 anni. Ricordo ancora che al mio funerale, mescolato e commosso tra i miei compaseani di Modena, c’era perfino il presidente Onesti. Ma Lei tutte queste cose le conosce di certo, l’avranno informata i solerti collaboratori del Suo staff, come si dice adesso.

Signor Presidente, questa in sintesi è stata la mia piccola storia terrena. Qualcuno afferma che io, pur a distanza di decenni, resto il simbolo e un po’ l’icona della ginnastica italiana e, lo pensano in molti, tanto che se si potesse fare un’improbabile classifica mondiale nessun esperto mi dimenticherebbe. Esagerazioni certamente, ma se tanti mi hanno celebrato qualche merito devo pur averlo avuto. E allora Presidente, io spero davvero che nel 2024 Roma possa tornare olimpica, ma mi dispiacerebbe se i ginnasti di quei giorni, passeggiando per i viali del Foro Italico, non trovassero il mio nome. Perché è stato anche detto – sempre esagerando, beninteso – che io sono stato il primo ginnasta moderno, per qualcuno addirittura sarei stato “il principe dei ginnasti”.

Via presidente, un secondo motu proprio non lo neghi proprio a me.

Suo Alberto Braglia, Ginnasta.
 

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