- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Osservatorio / Heritage Legends, un esempio da seguire

PDFPrintE-mail

Martedì 4 Dicembre 2018

 

coe-heritage 2


Le riunioni di Montecarlo come riscoperta del valore della storia dell’atletica e delle motivazioni che possono trasmettere.

 

di Luciano Barra

 

Che bello quando vedi confermate da persone più importanti, e più carismatiche, alcune convinzioni che senti dentro di te da anni e che provi, forse inutilmente, a disseminare. Questo è quanto ho provato l’altra sera a Montecarlo, alla IAAF Heritage Legends Reception, quando Seb Coe ha aperto il suo discorso di introduzione alle 12 Legends presentate dicendo pressappoco così: “Per essere un buon atleta non basta sapere quante volte ti devi allenare o come migliorare il gesto tecnico, no devi conoscere la storia dell’atletica e della tua specialità. Questo è il quid in più che ti darà le giuste ispirazioni e motivazioni per raggiungere gli obbiettivi sognati”. Bingo, mi sono detto. Allora non sono il solo a credere che le motivazioni, grazie anche alla conoscenza del passato, sono l’ingrediente necessario per avere successo nello sport.

Seduto a fianco a me c’era Franco Fava. Anche a lui luccicavano gli occhi alle parole di Seb, e poi mi ha detto: “Pensa che quando avevo 16 anni la mattina, a colazione, avevo vicino a me l’annuario della FIDAL e lo divoravo quasi fosse parte del breakfast”. Tornerò più avanti sull’Annuario della FIDAL.

Quell’ora e mezzo di presentazione fra figli, nipoti e relatives vari di Owens, Nurmi, Voigt, Blankers-Koen, Zatopek, Szewinska ed Eric Lemming è stato un solluchero. Poi come ciliegina Coe ha tirato fuori l’invenzione della Heritage Plaque da collocare nelle rispettive location dove le leggende hanno scritto la loro storia. Forse anche a Roma per ricordare la vittoria di Bikila nella maratona olimpica del 1960. Speriamo che per quella data, almeno ai Fori Imperiali sino state tappate le buche. E questa invenzione di “marcare” una venue con una specifica Plaque è veramente importante.

Serve sicuramente a sollecitare la memoria di tutti su taluni momenti degli eroi del passato. Pensate ad una Heritage Plaque all’Arena per ricordare il duello tra Harbing e Lanzi, o una all’Olimpico per ricordare la vittoria di Berruti a Roma 60. All’Olimpico non c’è nulla che ricordi quel 3 settembre, così come non c’è nulla che ricordi gli oltre 20 record del mondo battuti nel nostro maggior impianto. Chissà che un giorno la FIDAL non riesca – con l’aiuto di qualcuno, RCS, ERI-RAI, ecc. – a produrre un DVD con i migliori momenti vissuti nel catino romano. Sarebbe un sogno, in tutti i sensi.

Peccato che fuori della presentazione gli atleti che arrivano per il Gala di stasera, che dovrà incoronare gli atleti (e non solo) dell’anno, non mostravano grande interesse. I tanti moretti keniani erano tutti più interessati a smanettare sui propri cellulari, non tanto per rivedere le gesta di Keino, Biwott, ecc., quanto per ascoltare la musica dell’ultimo momento. È però vero che di motivazioni loro ne hanno in abbondanza, dal colore della pelle alla fame patita, spesso anche all’arretratezza culturale. Elementi che assieme al loro talento ed agli allenamenti estenuanti costituiscono la molla che li fa emergere.

Tra i presenbti, anche il nostro giovane velocista Filippo Tortu. Anche lui assente alla cerimonia che si teneva dentro lo stesso albergo, forse perché neppure invitato. Almeno lui, forse anche grazie a genitori illuminati e alla famiglia, pare non aver bisogno di queste scariche emotive, speriamolo. Mi stupisce, invece, e mi spaventa, il fatto che per poterlo intervistare è necessario passare sotto le forche caudine del suo (o della sua) addetto stampa. Neanche Bolt era arrivato a tanto, per non dire di Mennea. Complimenti infine a Repubblica e a Emanuela Audisio che di lunedì – un giorno in cui il calcio lascia poco spazio per tutti –, hanno dedicato due pagine all’avvenimento di Montecarlo. Che sia un esempio per altri giornali e televisioni?

Venendo poi alle cose di casa nostra, mi domando perché non percorrere in maniera programmata e continuata la strada della “cultura” atletica. Pochi suggerimenti: perché non rendere abituali recipients dell’Annuario FIDAL le centinaia di atleti (e tecnici) coinvolti nelle nazionali azzurre (proposta da me già avanzata anni or sono); perché non inoltrare direttamente ad ogni atleta (e tecnico) alcune delle storie “amarcord” di Giorgio Cimbrico apparse sul sito della FIDAL o su www.sportolimpico.it, anche se trattano di altri sport, potrebbero stimolare curiosità e sollecitare altri approfondimenti; perché non invitare ex campioni ai raduni delle varie nazionali ed organizzare fra loro e gli atleti in attività dibattiti e incontri, meglio di un allenamento; perché non promuovere, anche qui con l’aiuto di case editrici ed anche qualche piccolo finanziamento, libri che raccontino, non la biografia, ma le peripezie umane che hanno portato al successo. Quest’anno Arese e Panetta, a distanza rispettivamente di 47 e 31 anni dalle loro più importanti gesta, hanno finalmente scritto un libro. Ma quanti altri non l’hanno fatto? Non è un dovere da parte della Federazione promuovere iniziative di questo tipo? Perché non tenere ogni anno una premiazione dei migliori atleti invitando anche campioni del passato in occasione di particolari ricorrenze?

Devo aggiungere altro? Questa volta sono stato breve. A proposito, a Montecarlo sono andato a spese mie e sono lieto di averlo fatto. Tanto più che quanto ho visto e sentito ha riempito la mia anima e rafforzato le mie convinzioni.

 

 

Cerca